Stasera 26 febbraio alle ore 19, alla libreria Verso in Milano, Alessandro Bertante e Alessandro Beretta presentano la nuova edizione de “Gli ultimi giorni di Lucio Battisti” di Igino Domanin, pubblicata per Laurana, nella collana Reloaded, diretta da Demetrio Paolin. Sarò presente all’incontro. E lo sarò semplicemente perché credo, con molta fermezza e a mio parere ottime motivazioni, che la raccolta di racconti di Domanin sia uno dei libri più belli negli ultimi vent’anni di produzione narrativa e poetica in Italia. Uscì 14 anni orsono, era l’esordio letterario di uno scrittore assai versato in filosofia, ma ancor più nell’invenzione linguistica o, per essere più preciso, nell’apertura di zone inqualificabili in cui l’immagine risultava colante, come certi orologi di Dalì, e il ritmo e il lessico risultano coincidenti nello spalancare fessurazioni psichiche, in cui cola l’identità di chi legge. E’ una trasmutazione, la prosa di Domanin. Ed è una fenomenologia, un giro d’orizzonte sull’arcaica e sempre contemporanea malattia occidentale. Qualcosa di apocalittico e di spettacolare, laddove però lo spettacolare è a portata di mano, o perlomeno di ricordo, ultimo bagliore a insinuarsi tra la mitologia e una spesa al supermarket: sono sì gli ultimi giorni, però lo sono di Lucio Battisti. Il quale viene avvistato proprio in un centro commerciale, prima di essere intercettato in preagonia al balcone della sua maison di Poggio Bustone. Questa anomalia della realtà che si pensava a portata di mano ed era invece un sintomo, ambiguamente scintillante, di una leggenda collettiva a bassa intensità, sempre a bassa intensità: uno svisamento minimo, un’aberrazione di pochi gradi, uno strabismo né di Venere né di Giove. Così il genere spy-story viene implicato nel racconto, a metà tra James Bond e Gianni Pettenati, e così le matematiche markoviane fruttano un complotto impossibile, mentre riverberi dell’immaginario e dell’ideologia dell’occidente sotto Guerra Fredda esplodono lentamente oppure restano propriamente inesplose – e quindi *molto rischiose*. La pressione del pericolo sempiternamente incombente è una delle funzionalità psichiche attivate dalla prosa allucinatoria di Domanin e lo è per motivi tutti occidentali, o, sempre per essere più preciso, per l’inadeguatezza della mente occidentale a praticare la chince metafisica che giunge del tutto ovvia alla mente orientale, la quale, se non si libera da se stessa o dal mondo, comunque pratica più degnamente il trascendimento di tutte le cose e, ciò che più importa all’autore, di tutto l’io. Del quale Domanin non sa nulla e dichiara di non sapere nulla: ne è travolto, smagato, evocato, in un clima torrido da foresta pluviale: una foresta pluviale in quale tempo? In quale epoca ci troviamo ai per nulla tristi tropici allestiti dalla poetica di Domanin? E’ proprio lo slittamento dei tempi la moneta e il valore che vengono compromessi ne “Gli ultimi giorni di Lucio Battisti”: una dilatazione delle epoche, un crollo delle ere, un’ambizione a trasformare l’istante in eone. L’audio di Lucio Battisti, ossessivamente reiterato, «dischiudeva la mia via idiosincratica all’ espansione della coscienza», che passa per l’allestimento di un filetto alla Stroganov e adesso ve ne dò un saggio incongruo per un post nel 2019 – eccovi la lunghissima, ma appagante, citazione dal libro che, se siete di stanza o di passaggio a Milano, dovete venire a vedere presentato stasera alla libreria Verso (ripeto: ore 19): «Preparo un filetto Stroganov. Si tratta di una antica ricetta russa settecentesca. Figura da sempre nei menu storici della cucina internazionale. Gli Stroganov erano dei monopolisti. Ottennero il monopolio delle saline della Russia settentrionale. E quello delle pellicce e della pesca. Accumulano fortune oniriche. In seguito sfruttano i giacimenti minerari e le risorsa forestali degli Urali. Diventano talmente potenti che possono battere moneta in proprio. Lo zar è strozzato dai debiti che deve contrarre verso di loro. Gli Stroganov sono una potenza temuta in tutta Europa anche per le loro manovre finanziarie. Lo zar deve tenerli buoni. Hanno gusti difficili. Sono arroganti. Me li immagino con i baffoni biondi e la facce leonine. Una cresta di capelli troneggia sulle loro teste. Sono commensali irritabili. Per questo motivo lo Zar ordina ai cuochi della sua corte di cucinare il manzo in modo assolutamente speciale. In questo modo nasce la ricetta che devo eseguire. Ho comprato nei giorni scorsi tutti gli ingredienti necessari. Mi preparo sempre con minuzia in vista della esecuzione di un piatto. Non mi fa piacere dividere la mia cena con nessuno. La mia gozzoviglia deve essere intima e segreta…».