di TOM WOLFE
Essendo poco al passo coi tempi, avevo appena sentito parlare della rivoluzione digitale nel febbraio scorso, quando Louis Rossetto, cofondatore della rivista “Wired”, tenendo una conferenza al Cato Institute con addosso una camicia senza colletto e con i capelli lunghi come quelli di Felix Mendelssohn, simile in tutto e per tutto al tipico giovane visionario della California, ha annunciato l’alba della civiltà digitale del Ventunesimo secolo. Ha preso spunto da un testo di Pierre Teilhard de Chardin, scienziato e filosofo gesuita “controcorrente”, il quale cinquant’anni fa pronosticò che la radio, la televisione e i computer avrebbero creato una “noosfera”, una membrana elettronica che avrebbe ricoperto la terra e avrebbe collegato tutta l’umanità in un unico sistema nervoso. Tutto, secondo il filosofo, sarebbe diventato irrilevante: località geografiche e confini nazionali, ma anche i concetti tradizionali di mercato e di processo politico. Con la diffusione, a ritmo vertiginoso, di Internet da un capo all’altro del pianeta, ha annunciato Rossetto, il prodigioso evento modemico è quasi alle porte.
Può darsi. Ma qualcosa mi dice che nel giro di dieci anni, entro il 2006, tutto quanto l’universo digitale sembrerà cosa alquanto banale a paragone di una nuova tecnologia, che per il momento è solo un tenue bagliore che emana da un numero esiguo di ospedali e laboratori americani e cubani – sì, proprio cubani. Si chiama brain imaging, e probabilmente chi è disposto ad alzarsi di buon’ora per assistere all’alba veramente accecante del Ventunesimo secolo vorrà tenerlo d’occhio.
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