Non uscirà più il testo pensato e scritto a partire dal ritrovamento del corpo di mio padre, un’ora dopo avere terminato la stesura del Dies Irae e un giorno dopo il suo effettivo decesso. Il libro verrà rimetabolizzato e la sua uscita avverrà tra anni (quanti non so). Per interrompere un inutile lutto secondario e di natura esclusivamente letteraria, pubblico uno stralcio dalle opere che vado scrivendo da anni senza che vengano pubblicate (si suppone che mai lo saranno). Non è narrazione, non è prosa poetica, non è poesia. E’ un’idiosincrasia che in questo caso mi serve per compiere un rito: d’interruzione. Interrompo le parole attraverso altre parole. In questa superficialità si dà il rito, che avviene nel mondo, e anche sulla pagina, che è mondo.
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Molto vino è passato, tra gravi conversazioni
Tremulo, diaccio, rigido blocco di carne bianca e mutila io giaccio ora avvizzito
Cadavere disteso obliquo ai margini della stanza, incastrato tra letto e parete
Il terzo amore degli uomini è annusare il proprio sudario
Solo
Destinato a fine certa, e non roboante
Senza lasciare un monumento, la mia valva è prossima al disfacimento, sfogliandosi in polvere, rilasciando nuda e infelice la polpa irrisolta
Come lumaca ha lasciato dietro sé una scia disseccatasi, dilavata dalle piogge, dalle evenienze, dalla meteorologia – è l’erosione umana, è il minus di amore
Privo del primo cuore, mi affido al secondario, di marmo che pulsa
Ho visto le architetture di Friedrich Schinkel, prediletto del re di Prussia, distendersi in pesante piattezza al centro del Mitte, venticinque anni addietro lo sguardo vuoto del mio figlio terreno e naturale
Carne della mia carne tra bugnati bruniti e metope insopportabili dietro lo schermo tarlato dei tigli
Con invisibile lutto sovrappongo le Tuilleries a Tiegarten
Insieme stati tra la botanica gentile su Rivoli un giorno che la polvere si sollevava in turbini, io e mio figlio ciechi per la polvere
Muta in configurazioni di polvere l’immensa commozione del pianeta, la sfera prima che fosse vista, e dopo
Tra gravi conversazioni, fossili, sottratto d’improvviso, cera inerte ai continui squilli del telefono
All’ingresso del nuovo anno murati vivi tutti, io ritraggo la mia specie
Con un celebre risucchio tuttavia inaudito
Interna la frattura è istantanea e il miocardio si felicita dell’esplosione
Molto vino, molte conversazioni sui gravami del pensiero e delle scritture
Invisibile sono stipato negli angoli alla luce sul vetro a specchio del memoriale antinazista a Babelplatz
Io il rogo dei libri
Sono l’anima sottile e fissa di piombo al centro del collo nel busto di Nefertiti all’Altes
Ogni arte è contemporanea, ogni sottrazione
Mio figlio che cammina solitario muto, fino alle panchine sdraio in legno sulla Sprea alla Domplatz e legge disperazione in Burroughs
Mentre gli preme sulle spalle il paramento in lenci nero della Riforma oscuro, il Duomo
Libera la parola, figlio, che ti avvicini al primo cuore che mai avvicinai a un pollice dal mio sterno secco
Lévati da Schinkel e dalla sommatoria dei casi umani, dalle oziose trasversali
Le oziose trasversali umane sulla piatta natura
Ombra oscura umana con il braccio semialzato, proteso incerto nel turbine di polvere
Giungi nel trasparente, solo e muto calcando asfalto verso Treptowerpark
A me nella conversazione fatta lieve, figlio:
Fa’ lievi conversazioni, ché il cuore è lieve, levità sonora sta all’inizio
Dalla levità con atto disperato e carnale io ti richiamai in questa tundra,
Alla domenica possiamo chiamarla erba di grazia
E questo non è perdono, che tu volessi giungere qui, per camminare muto
Tu volesti giugere qui, per camminare muto, figlio,
Perdoniamoci nell’istante, perdoniamoci nel punto, io-tu, io-io
Normalità placata