Stato Miserabile

Più diario, che riflessioni. Per sporgere l'”io”, contro cui, si dice qui continuamente in termini di poetica e letteratura, si gioca. Ciò che manca, tuttavia, incarnato, qua presente ora, è proprio il gioco. La cupa melancolia dell’artista che ha una vita di merda è inadatta a descrivere questo “passaggio”. Il futuro (esistenziale, sentimentale, lavorativo) è ora riguardato con l’orrore con cui ci si paralizza come davanti a uno spettro. E la letteratura non consola. Soprattutto questa chiusura, contro cui da anni si combatte, affligge e strema. La ristrettezza della cerchia di amici e delle risate, del divertimento non surrogato e dell’esperienza – danno corpo a una solitudine da isolamento contro cui le energie vengono meno. Il doppio giro di lancette d’orologio, nella casa cava ridotta a risibile emulazione monacense, l’assenza del piacere e dell’amore, non sono per me corroboranti o carburanti per la creazione. Non c’è struttura, non c’è sicurezza, non c’è stabilità, non c’è protezione. Minimo lo scambio alla pari, fraterno. Siamo dunque all’ipogeo e non resta che fare, secondo consigli Altrui, il morto che riesce a stare a galla nelle acque agitate. Queste acque sono oscure.
Dopo il diario, una sporgenza che ha sempre il senso di un dono, per chi legge: riflessioni attraverso variazioni d’autore sulla solitudine – Lawrence, Oz, Nin, Pirandello, Nietzsche, Schopenhauer, Leopardi, Kafka, Celan, Burroughs, Stevens.

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“Esiste un io impersonale, che si trova al di là dell’amore, al di là di qualsiasi rapporto emotivo. E noi, invece, vogliamo illuderci che l’amore sia alle radici. No, non lo è. L’amore è i rami dell’albero e la radice è al di là dell’amore, è solitudine nuda, è l’essere isolato, che non si incontra, che non si fonde, non lo potrà mai.”
Da Donne innamorate, David Herbert Lawrence
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“Di’ nelle tue preghiere, Michel, che solitudine, desiderio e nostalgia sono al di là di ciò che possiamo sopportare. Ma senza di essi siamo spenti.”
Da La scatola nera, Amos Oz
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“Lo scrittore è il duellante che mai si batte all’ora stabilita, che raccoglie l’insulto come un’altra curiosità, che poi lo spalanca sulla propria scrivania e quindi combatte, da solo. Alcuni la chiamano debolezza. Io lo chiamo il differire. Quella che in un uomo è una debolezza, è la gloria di un artista, la sua qualità. Quello che riverso in discorsi o atti raramente viene reso nello scritto. Quello che è conservato, collezionato, è ciò che in seguito esplode, nella propizia solitudine. Questa è la ragione per cui l’artista è l’uomo più solo al mondo: perché vive, combatte, fa guerre, muore, rinasce solo, e sempre solo.”
Da Incesto, Anais Nin
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“Inconsistenza dunque del tutto; il reale come riflesso di uno stato d’animo individuale continuamente cangiante; la vita che non si spiega ma che unicamente si vive; il sentimento angoscioso dell’incomunicabilità; la dolorosa immersione dell’uomo nella solitudine più disperata; la totale mancanza di riferimenti e di certezze; la vanità del tutto.”
Da Storia della letteratura italiana su Pirandello, Ugo Dotti
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“Nella solitudine cresce ciò che uno porta con sé in essa, anche la bestia nascosta. Ragion per cui a molti si sconsiglia la solitudine”.
Da Così parlò Zarathustra, Friedrich Nietzsche
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“Gli uomini completamente privi di genio sono incapaci di sopportare la solitudine.
[…] La solitudine rende oggettivi; la compagnia rende sempre soggettivi.
[…] Il giustificato sprezzo degli uomini ci porta a rifugiarci nella solitudine. Ma il deserto di questa a lungo andare dà angoscia al cuore. Per sfuggire al suo peso, dunque, bisogna portarsela in società. Bisogna cioè imparare ad essere soli anche in compagnia, a non comunicare agli altri tutto ciò che si pensa, (a non) prendere alla lettera quello che dicono, al contrario, ad aspettarsi molto poco da loro, sia moralmente che intellettualmente.
[…] Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi.”
Da Il mondo come volontà e rappresentazione, Arthur Schopenhauer
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“La solitudine è lo stato naturale di gran parte, o piuttosto del più degli animali, e probabilmente dell’uomo ancora. Quindi non è maraviglia se nello stato naturale, egli ritrovava la sua maggior felicità nella solitudine, e neanche se ora ci trova un conforto, giacchè il maggior bene degli uomini deriva dall’ubbidire alla natura, e secondare quanto oggi si possa, il nostro primo destino. Ma anche per altra cagione la solitudine è oggi un conforto all’uomo nello stato sociale al quale è ridotto. Non mai per la cognizione del vero in quanto vero. Questa non sarà mai sorgente di felicità, nè oggi; nè era allora quando l’uomo primitivo se la passava in solitudine, ben lontano certamente dalle meditazioni filosofiche; nè agli animali la felicità della solitudine deriva dalla cognizione del vero. Ma anzi per lo contrario questa consolazione della solitudine deriva all’uomo oggidì, e derivava primitivamente dalle illusioni. Come ciò fosse primitivamente, in quella vita occupata o da continua sebben solitaria azione, o da continua attività interna e successione d’immagini disegni ec. ec. e come questo accada parimente ne’ fanciulli, l’ho già spiegato più volte. Come poi accada negli uomini oggidì, eccolo. La società manca affatto di cose che realizzino le illusioni per quanto sono realizzabili. Non così anticamente, e anticamente la vita solitaria fra le nazioni civili, o non esisteva, o era ben rara. Ed osservate che quanto si racconta de’ famosi solitari cristiani, cade appunto in quell’epoca, dove la vita, l’energia, la forza, la varietà originata dalle antiche forme di reggimento e di stato pubblico, e in somma di società, erano svanite o sommamente illanguidite, col cadere del mondo sotto il despotismo. Così dunque torna per altra cagione ad esser proprio degli stati e popoli corrotti, quello ch’era proprio dell’uomo primitivo, dico la tendenzadell’uomo alla solitudine: tendenza stata interrotta dalla prima energia della vita sociale. Perchè oggidì è così la cosa. La presenza e l’atto della società spegne le illusioni, laddove anticamente le fomentava e accendeva, e la solitudine le fomenta o le risveglia, laddove non primitivamente, ma anticamente le sopiva. Il giovanetto ancora chiuso fra le mura domestiche, o in casa di educazione, o soggetto all’altrui comando, è felice nella solitudine per le illusioni, i disegni, le speranze di quelle cose che poi troverà vane o acerbe: e questo ancorchè egli sia d’ingegno penetrante, e istruito, ed anche, quanto alla ragione, persuaso della nullità del mondo. L’uomo disingannato, stanco, esperto, esaurito di tutti i desideri, nella solitudine appoco appoco si rifà, ricupera se stesso, ripiglia quasi carne e lena, e più o meno vivamente, a ogni modo risorge, ancorchè penetrantissimo d’ingegno, e sventuratissimo. Come questo? forse per la cognizione del vero? Anzi per la dimenticanza del vero, pel diverso e più vago aspetto che prendono per lui, quelle cose già sperimentate e vedute, ma che ora essendo lontane dai sensi e dall’intelletto, tornano a passare per la immaginazione sua, e quindi abbellirsi. Ed egli torna a sperare e desiderare, e vivere, per poi tutto riperdere, e morire di nuovo, ma più presto assai di prima, se rientra nel mondo.Dalle dette considerazioni segue che oggi l’uomo quanto è più savio e sapiente, cioè quanto più conosce, e sente l’infelicità del vero, tanto più ama la solitudine che glielo fa dimenticare, o glielo toglie dagli occhi, laddove nello stato primitivo l’uomo amava tanto più la solitudine, quanto maggiormente era ignorante ed incolto. E così l’ama oggidì, quanto più è sventurato, laddove anticamente, e primitivamente la sventura spingeva a cercare la conversazione degli uomini, per fuggire se stesso. La qual fuga di se stesso oggi è impossibile nella società all’uomo profondamente sventurato, e profondamente sensibile, e conoscente; perchè la presenza della società, non è altro che la presenza della miseria, e del vuoto. Perchè il vuoto non potendo essere riempiuto mai se non dalle illusioni, e queste non trovandosi nella società quale è oggi, resta che sia meglio riempiuto dalla solitudine, dove le illusioni sono oggi più facili per la lontananza delle cose, divenute loro contrarie e mortifere, all’opposto di quello ch’erano anticamente. (20 Febbraio 1821).”
Da Zibaldone di pensieri, Giacomo Leopardi
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“Per un certo tempo nella mia vita – sono ormai passati molti anni – ho lavorato in una piccola stazione nell’interno della Russia. Non sono mai stato così abbandonato come laggiù. Per diverse ragioni che ora non vale la pena ricordare, in quel tempo ero alla ricerca proprio di un posto del genere, e quanto più ero assediato dalla solitudine tanto più ero contento, e dunque non voglio neppure ora lamentarmene.
[…] Io d’altra parte mi ero accorto di non essere tagliato per una completa solitudine, anche se dovevo confessare a me stesso che questa solitudine che mi ero scelto cominciava, già dopo poco tempo, a disperdere le mie preoccupazioni di un tempo. In linea generale ho accertato che una infelicità dimostra grande forza, se riesce a mantenere il suo potere su un uomo in solitudine. La solitudine è più potente di ogni altra cosa, e spinge di nuovo verso gli uomini. Naturalmente allora si tenta di trovare nuove strade, in apparenza meno dolorose, in realtà solo sconosciute.”
Dal “quaderno settimo” dei Diari, Franz Kafka
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“Cara, sinceramente ammirata, Nelly Sachs!
Ieri l’altro , quando è arrivata la Sua lettera avrei voluto prendere il primo treno e venire a Stoccolma per dirLe – con quali parole poi, con quali silenzi? – di non creder mai che parole come le Sue possano rimanere inascoltate. La camera del cuore è vero, è rimasta in gran parte sepolta, ma l’eredità della solitudine di cui Lei parla, quella verrà accolta qua e là, nella notte, poiché vi sono le Sue parole. False stelle ci sorvolano – certamente; ma il granello di polvere che la Sua voce impregna di dolore descrive l’orbita infinita.
Suo Paul Celan”
Da una lettera di Paul Celan a Nelly Sachs
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“Bill conduceva una vita molto ritirata a Parigi, un grigio fantasma di uomo nel suo gabardine da fantasma e un cappello consumato da fantasma, simile al suo manoscritto ammuffito. Con Burroughs era difficilissimo parlare. Il suo incredibile viso che pareva una maschera senza età aveva un aspetto gelido. Viveva con Gysin e Gysin parlava per lui [ … ] Dopo Il pasto nudo gli pubblicai un libro ogni sei mesi: La morbida macchina, Il Biglietto che è Esploso. Non ho mai avuto conversazioni di carattere editoriale con lui, anzi nessuna conversazione. Penso che scrivesse tanto perché aveva bisogno di pagarsi l’affitto. Aveva davvero bisogno di soldi”.
Maurice Girodias, editore, su William Burroughs
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“Ma l’idea prima non era di foggiare
le nubi a imitazione. Le nubi ci precorsero.
C’era un centro fangoso prima che respirassimo.
C’era un mito prima che inizasse il mito,
venerabile, esplicito, completo.
Da questo nasce la poesia: che viviamo
in un luogo non nostro, e che non siamo noi,
ed è arduo, ad onta dei giorni d’orifiamma.”
Da Harmonium, Wallace Stevens

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