Il Sistema Politico Sergio Baracco

Molti dei lettori di questo sito sono giovani, o disattenti, o giustamente disinteressati al recente passato, oppure talmenti boccheggianti nell’orrore dell’epoca da non volerne sapere di orrori che hanno preceduto questo tempo. Eppure inimmaginabili OGM umani e spettri fatti di etere e sparati da tubi catodici prepararono, non più di trent’anni fa, l’attuale disastro sociale e tutto italico.
Prescindiamo dai ricordi: cominciamo con un video, così vi orientate. Questo che segue è il noto televenditore Sergio Baracco:

Linkando alla voce Wikipedia relativa al noto televenditore Sergio Baracco, di constatare che lo scrittore viene citato sin dalle prime righe:

È noto in particolare per la sua marcata erre moscia e per il grido “Amici!”, caratteristiche enfatizzate dalla parodia delle sue televendite messa in scena dai Fichi d’India da cui è nata la loro celebre esclamazione “Amici Ahrarara”, per la quale è stato guest star all’inizio del loro primo film intitolato proprio Amici Ahrarara. Il “sistema politico Sergio Baracco” è stato assunto da Giuseppe Genna, nel romanzo “Dies irae” come simbolo di un “canone televisivo”, urlato e truffaldino, della vita pubblica italiana.

Ecco, sotto un ulteriore video, il brano del Dies Irae in cui viene introdotto il sistema politico Sergio Baracco, mentre il protagonista fa le interviste per una specie di Doxa negli anni Ottanta. Eccolo, sotto un ulteriore video.

coverbig.jpgIL SISTEMA SERGIO BARACCO
di GIUSEPPE GENNA

“Se non ci sono le televendite, le guardo, perché altrimenti mi imbarazzo, che ci sono i miei amici, che fanno le televendite. C’è Sergio, Sergio lo conosci?”
Una branca degli intervistati: i divagatori, gli approfonditori. Si pone a fianco di coloro che ti scambiano per un operatore del telefono amico. E’ il tempo in cui gli psicoanalisti hanno perduto credibilità e aumentato le tariffe, le indovine e le maghe non sono sufficienti, e i preti sono considerati antiquati e portasfiga. Si confessano all’intervistatore telefonico. Chiedono consigli, i-ching via cavo, tu sei il crogiolo alchemico dove riversare il letame del loro compost, tradimenti, acciacchi, i figli che non… “Non conosco Sergio, mi dispiace”.
“Sergio! Ma come! Lo conoscono tutti! Quello di Valenza Po, vende i gioielli, non ha la ‘r’, la pronuncia ‘v’. E’ un mio amico. Se ti dico le serate con Sergio…”
Sergio Baracco. Della SM di Valenza Po. Televendite di parure, gioielli che mi sembrano paccottiglia a chili, ti televende pacchi di gioielli, ripete continuamente “Amici!”, poi ti fa la proposta, “Amici!”, infila nel pacchetto da venderti una roba che dice che è prestigiosa, “vubìno vosso sangue di piccione”, è compulsivo, si agita, urla, “Amici!”, dice che ci perde, che ti fa un favore pazzesco, gioielli presentati come appartenessero alla Corona Inglese, e lui per centomila te li dà insieme al “pazzesco, un vevo vubìno vosso sangue di piccione”. Mi dà l’impressione di uno sniffato. Mi ossessiona dal video. Ultimamente appare al suo fianco un suo amico che dice di essere suo socio, un biondo, anche lui nervosissimo, assomiglia un po’ a Max Headroom, il volto sintetico biondo su Italia Uno, che presenta canzoni e legge notizie assurde con un tono da baritono fallito, una sintassi improbabile e una pronuncia desillabante, e questo amico e socio di Sergio Baracco litiga con Sergio Baracco, il biondo contro il moro, litiga perché le offerte di Sergio Baracco “sono troppo basse, così ci perdiamo”, litigano come litigassero davvero, Sergio Baracco reagisce istericamente, dice che lui sta dalla parte dei clienti, “Amici!” e a volte due volte “Amici!”, la prima urlata e la seconda in tono conciliante, da persona seria, con questo rotacismo che rende tutta la proposta indistinguibile e scivola.
El maschio sta scivolando in una marcata inflessione calabra: “Non me lo puoi dire che non conosci Sergio dei gioielli, che cazzo di intervistatore sei?”
Abituale momento clou dell’intervista telefonica: rischi di perdere l’intervistato, devi dargli ragione, devi essere fine, empatico, schierarti dalla sua parte, altrimenti lo perdi, l’intervista è abortita, tu cali nella media di interviste effettuate, devi stare attento, ti controllano dalla centralina, random, controllano gli intervistatori, come parlano al telefono, se effettuano tutte le domande, se cali nella media di interviste condotte a buon fine forse non ti richiamano, perché sono loro a chiamarti, anche se tu hai un disperato bisogno, anche se per te 10.200 lire sono oro, ti senti schiacciato dal Sistema Sergio Baracco, ti verrebbe voglia di parlare a telefono con il rotacismo di Sergio Baracco, “Buongiovno, sono un intevvistatove pev una vicevca telefonica”, Sergio Baracco è un’ombra gigantesca, il suo sistema di condizionamento a colpi di “Amici!”, la sua politica delle vendite percepisco nitidamente che ha un futuro, le sue vendite sono una politica e questa politica ha un futuro, Sergio Baracco subentra allo yuppismo che è ormai in calo, ai proventi gonfiati da una bolla di economia irreale che sta andando verso l’afflosciamento, 50 milioni di spettatori italiani possono assorbire la visione del mondo di Sergio Baracco e farla propria, adornati di rubini “vosso sangue di piccione”, e io mastico la radice nera del mio tempo.
“E poi?” fa el maschio.
“Il suo programma televisivo preferito?”
“Ho molti amici lì, ne vedo molti se no mi annoio. Comunque il Benny Hill Show su Italia Uno”.
Chiedergli se Benny Hill è suo amico, se fa serate con Benny Hill. Travolgerlo. Triturarlo col Sistema Sergio Baracco. Benny Hill. A questo puttaniere che ha in casa un travesta brasiliano che lo chiama el maschio piace Benny Hill. Benny Hill è un idiota che fa strisce comiche mute a fine secolo (ma questo secolo, non l’altra fin de siècle, quando sarebbe stato comprensibile il comico muto), situazioni brevi che fanno ridere soltanto mia zia Pina. Benny Hill è biondastro e grassoccio ed è l’archeotipo fisionomico dell’inglese. Ha la faccia rubizza e la sua spalla comica è un vecchietto pelato e sdentato, Benny Hill gli batte sempre la mano sulla pelata, si sente il rumore degli schiaffetti, spesso il vecchietto ha un parrucchino e Benny Hill glielo toglie e gli dà gli schiaffetti sulla pelata. Benny Hill con la pancia calciatore che tira un rigore e ammazza il portiere che è il vecchietto. Benny Hill cacciatore nella jungla africana con il vecchietto che fa Tarzan e crolla da una sequoia sbagliando liana ed è vestito con una finta pelle di leopardo che gli va larga sul corpo avvizzito, striminzito. Benny Hill che si presenta alle elezioni e il candidato opposto è il vecchietto e Benny Hill è nominato premier inglese e prende a schiaffetti sulla nuca in Parlamento il vecchietto, togliendogli la tuba. Benny Hill nominato premier.
Benny Hill nominato premier.
“Hai finito?” chiede el maschio, ma il tono non è irritato o stanco, continua a rispondere, se no si annoia.
“Ancora qualche domanda sui consumi”.
“Che consumi?”, sospettoso, adesso gli chiedo quanti grammi di bamba si fa al giorno, se il travesta pippa.
“Che cifra mensile destina all’alimentazione?”
“Che cazzo ne so? Devo stare lì con la calcolatrice? Quando ho fame, mangio”.
“Il prodotto che acquista più spesso”.
“Sottilette Kraft”.
“Acquista dischi, film o libri?”
“A me piace la lambada, ma non ho capito il gruppo, non sono andato a prendere il disco”.
“Kaoma”.
“Cosa?”
“L’originale. La lambada è dei Kaoma”.
“Aspetta che scrivo, mi piace troppo”. Rumori indistinti. “Scrivi lì”. Lo sta dicendo al travesta. A me: “Ripeti, lettera per lettera, che poi li prendo”.
“K-A-O-M-A”.
“Comunque mi piaceva il corvo Rockfeller, ma non fa più dischi”.
Un pupazzo mi pare dell’84, una scoperta di Pippo Baudo per Sanremo, un ventriloquo che non lo era, apriva semplicemente la bocca e faceva una voce distorta e rauca, e muoveva questo pupazzo irritante che si muoveva e si comportava con la stessa spocchia di Fonzie. José Luis Moreno, ecco come si chiamava. Scomparso. Scomparso con Rockfeller, si sarà riciclato in Argentina, quei fenomeni che girano le tv planetarie come fossero animatori da crociera. 50 milioni di spettatori italiani ipnotizzati dalle cazzate rauche del corvo Rockfeller che si metteva la mano sul pacco e sbullettava rauco.
“Comunque l’ultimo che ho preso è Salvi, C’è da spostare la macchina”.
Segno: Francesco Salvi. C’è She drives me crazy dei Five Young Cannibals, ma questo compra Salvi. Gli mancano i Milli Vanilli, i sovrani della farloccheria. Il futuro è loro. La loro politica delle vendite di copie (a centianai di migliaia) e la vendita di una politica che io sento avere un futuro, si sta spalancando. Trionfa inarrestabile il duo dei Milli Vanilli. Centinaia di migliaia di copie di Blame it on the rain. Non soltanto in Italia – in tutto il mondo. Li vedi ritirare dischi di platino. Sembrano due travesta brasiliani. Io so (lo so per amicizie nel giro dei discografici, a Milano chiunque o lavora in pubblicità o in discografia) che i due finti travesta nelle loro canzoni ci mettono solo la faccia, la voce è in realtà di un trio di cantanti dietro le quinte, i Milli Vanilli muovono solo la bocca (la notizia diventerà pubblica di qui a qualche mese, lo scandalo che ne segue provoca un forte esaurimento nervoso per uno dei due componenti del duo, che di lì a poco preferirà il suicidio alla vergogna. Tristi storie fine Ottanta).
“Basta? Finito?” chiede el maschio.
“Sì, la ringrazio della disponibilità e la saluto”.
“Eh, no”.
Eh, no. Quand’è così, stai tranquillo e non reagire, la società ti ha detto durante l’addestramento (due giorni di addestramento, serve addestramento per fare domande al telefono e barrare caselle) che per qualunque problema la società ti è dietro, sei coperto.
“Prego?”
“Tu adesso mi devi ringraziare in un altro modo”.
“Gliel’ho già detto, la ringrazio…”
“No, tu mi devi ringraziare davvero, devi essermi grato. Dimmi che mi sei grato”.
La coordinatrice è una nana e io so che ora mi sta ascoltando. E’ risaputamente una troia, ha cinquant’anni, suo figlio è tra gli intervistatori e a fine serata fa la spia a sua madre. La puttana, se sgarri, non ti richiama o ti richiama quando proprio sono a corto di intervistatori.
“Tu mi devi dire che mi sei molto grato per avere risposto alle tue cazzo di domande. Mi hai interrotto e mi hai fatto perdere tempo. E devi ringraziare anche la mia compagna”.
Devo ringraziare anche la travesta.
Devo amplificare la mia presenza nel mondo, allargare il senso di esistere, e compilare miliardi di pagine nel libro nero del tempo, e percorrere la curva schiena del tempo che volta un decennio nel successivo, e devo resistere dal suicidarmi come quello dei Milli Vanilli, per l’odio e il disagio profondo e l’ansia e la penuria di soldi e l’esposizioni ai raggi di questa materia indegna in cui mi muovo, magro, con i buchi nelle tasche dei pantaloni di cattivo velluto presi all’Oviesse, i testi di filosofia inutili che sto studiando in facoltà e gli esami su Platone esoterico che mi conducono a follie immaginative e alla radicalità di un precariato perenne, devo amplificare le forze e resistere attraverso gli strategemmi di un’intelligenza acuminata, tesa contro il prossimo, schierata in avanguardia per perforare i giorni, schierata contro di me, la fatica, l’ansia, l’inutilità, le voci dei morti, la nonna Gisella continua a lanciarsi dall’ottavo piano nel ralenty mentale, Alfredino crolla nel pozzo, continua a crollare nel pozzo e il cadavere indecomposto di Gino è ritto nella stanza gelida chiusa nell’appartamento popolare dove tornerò tra un’ora, a bordo dell’Autobianchi che imbarca acqua e fa marcire la moquette e puzza.

Lo mando affanculo.

[Prima edizione su Web: 3 aprile 2010]

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