di GIUSEPPE GENNA | Pubblicato in origine il 11/06/2008 | Si consiglia di visitare i link, che sono parte integrante della narrazione
Di colpo, bando ai lucori spettacolari. La memoria a volte è grigia, fumigosa, una nebula di polvere organica da cui sgorga la vita. Spettri su spettri, una folla immane, che accalcano le superfici provate dei lobi cerebrali, si intrudono nei loro ventricoli, nei meandri. Dicono la parola amletica.Il caso, in questo caso, non è un caso. E’ un elemento della mia formazione, ma sono comunque gli anni Settanta. Per citare Strange Days di Franco Battiato (ascoltare qui, prego…), l’uomo a causa del quale ho iniziato a scrivere, nel 1969 (a dicembre) sono capitato su questo pianeta. Come qualunque bambino, ho praticato uno sguardo obliquo, ma non privo di logica, all’inenarrabile realtà in cui mi trovavo immerso. A sei anni, vedevo. A otto, vedevo. Lo sguardo di un bambino sugli anni Settanta non è considerato attualmente una componente in grado di permettere lo sblocco che la società italiana subisce dal reducismo, dal trionfalismo, dal trasformismo di chi, quegli anni, li visse osservandoli con sguardo adulto. E invece dovrebbe: la mia generazione è l’unica che può suturare, attraverso operazioni di immaginario, quella falda storica, che le dichiarazioni di Alemanno e/o Violante non suturano affatto, essendo indecenti, ulteriori fasi di un trasformismo senza fine, che mantiene intatta l’ingiustizia e depreca il valore di quanto sta al cuore degli accadimenti.
Nel 1976, seienne, io scendo gli scalini, che paiono pietra lavica, delle case popolari in via Tommei a Milano: è la catabasi che godo a compiere, seguendo la sagoma burocratica di mio padre [nell’immagine a sinistra, con me in un oceanico albergo di massa a San Antonio, in quel di Ibiza, in una vacanza organizzata dal Cral del Comune nel 1982, dove appare il borsello di cui alla riga seguente], la sua magrezza a cui è appeso un borsello in cuoio marrone lucido, la sigaretta del Monopolio di Stato che commistiona il suo sentore cinerino all’Acqua Velva (qui il video dello spot anni ’80, girato su tram milanese), che l’impiegato comunale Vito Antonio Genna si asperge sul volto ogni mattina alle sette, prima di recarsi alla ripartizione Tributi, dove assessore è tale Armanini, la cui figura minacciosamente dittatoriale e kafkiana incupisce la mia infanzia, fino a sciogliersi dopo la condanna da costui subìta nel casino di Tangentopoli, in seguìto alla quale egli, uscito di galera, si fidanzerà con l’interprete tv di Valentina di Crepax, cioè Demetra Hampton in cerca di gloria postuma (postumo diverrà Armanini, ex assessore e quindi capo di mio papà, schiantato dall’infarto: dico e Armanini e mio papà). Il sindaco Aniasi si è dimesso. Mio papà e mia mamma parlavano, ricordo, dell’arresto di Renato Curcio e Nadia Mantovani – la supposta decapitazione delle Brigate Rosse. Mio papà e mia mamma erano comunisti: papà della corrente che faceva capo all’emarginato Ingrao, mia madre lo era genericamente, dopo una permanenza dadaista, in età giovanile, a Mosca in una scuola per futuri quadri del Partito. Viviamo infelici perché loro sono infelici, mentre il Partito Comunista è felicissimo. E sta per esserlo ancora di più, poiché io racconto del preciso giorno 12 maggio 1976, in cui si scrutinano le schede elettorali delle votazioni in corso, le amministrative.La sezione Roberto Ricotti, a Calvairate, che è il quartiere dove vivo infelice, è uno scantinato nelle case popolari di via Tommei (esattamente lo scenario di questa foto, ma senza alberi, ai tempi): un mostro che ricorda il Panopticon di Bentham, un molosso eretto nel 1921 e mai più restaurato, verniciato di rosso cupo ed eroso dalla cura umana e dagli effetti dello smog, molto in voga in quel periodo. Sembra un Leviatano dai molti occhi napoletani, dalle molte bocche che urlano siculo l’una contro l’altra tutto il giorno, emettendo un fiato poderoso che agita i panni e gli stracci che puzzano di candeggina messi ad asciugare su stenditoii rugginosi. Bambini pericolosi giocano a pallone negli avvallamenti del cortile, le cui lastre di pietra sono collassate, creando diseguaglianze geologiche. I volti dei bambini sono geomorfismi. Una specie neanderthaliana in pieni anni Settanta mi ruba le figurine (precisamente queste), mi minaccia col coltellino, mi prende a pugni perché abito nella casa impiegatizia borghese che dà su piazza Martini – il giardino polveroso che al suo centro ha il perno vegetale del salice piangente, cupola immensa grigioverde sommessa, sotto la quale l’ombra è assoluta e cascano a pioggia gatte pelose, vermi ciliati urticanti gialloneri che, strisciando sull’epidermide, la irritano e sono il terrore di tutti i bambini di piazza Martini. La sezione del PCI sta accanto all’Arci: che è un bancone di alluminio bottato e piagato, un uomo con i baffi e molte escrescenze calabresi sulla pelle e soprattutto sulle palpebre della sua aria scettica, la camicia a maniche corte anche di inverno, un flipper dei Kiss, un retro con il tavolo da biliardo e tutti i miei zii non morti che urlano giocando a carte. Accanto è la sezione del PCI che è una stanza enorme dalle finestre inesistenti, sono brecce in alto, verso il soffitto, l’odore pungente di grasso di topo con cui si dirà che fanno le Big Babol, una scrivania dei segretari sulla parete di fondo, sui muri i ritratti in bianco e nero di Marx, Gramsci, Palmiro Togliatti, Berlinguer [ai link, le immagini precise che campeggiavano nella sezione], altri che non conosco e, sulla destra accanto alla larga scrivania, l’ufficio privato con tutti i segreti del Partito e della sezione, dove mio padre è ammesso, soprattutto quando bisogna elaborare i risultati elettorali. Nello spazio di muro che introduce nell’ufficio sulla destra, è appeso un cartello che, tra bande verdi e rosse e bianche, ha stampate queste parole:
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
che è di Piero Calamandrei ed è la prima poesia che io imparo a memoria.
Tutto a memoria. La memoria si intride di puzzo di grasso di topo, di pugno di Robertino neanderthaliano di via Tommei, di papà lievemente curvo con la giacca spessa e la cravatta dell’ufficio e la ventiquattrore in finta pelle di finto coccodrillo, del pane fritto della mamma, del volto vescicolare di Carlo Tognoli, del volto morto dello zio Gino partigiano, del puzzo magro del prosecco che mio papà beve sempre, sempre, sempre. Memoria che fonda: tu sarai disciolta, rimanendo in altra più numinosa istanza.
In ogni seggio esiste uno scrutatore comunista e uno scrutatore democristiano. Si porta caffè, e da mangiare, allo scrutatore comunista, a bordo di un furgone bianco incrostato di smog, che appartiene a uno che si chiama Claudio Pozzoli ed è per me quello che vorrei diventare adulto, un comunista buono e riflessivo e posato nei modi. Si raggiungono le scuole dove sono nascosti i seggi dentro cui sono nascosti gli scrutatori comunisti.
Da mangiare si fa solo l’insalata di riso per tre giorni a fila, in enormi bagnarole di plastica azzurre, con molti certi wurstel e sottaceti, messe poi in piatti di carta plasticata con le posate di plastica, le donne sono tutte vecchie e ricoprono i piatti di cellophane la mattina prestissimo. Io sono orgoglioso di portare il thermos enorme del caffè per gli scrutatori comunisti.
In altri giorni, le domeniche, io e mio papà andiamo nelle case popolari per diffondere le copie de l’Unità e di Rinascita di Asor Rosa, il cui nome e cognome mi affascinano come un mistero perché mio padre ha detto che si tratta di un palindromo. Ogni domenica mio padre è furibondo con l’Unità che distribuisce perché c’è sempre un articolo di uno scrittore detto Sanguineti, lo usa come esempio, dice “parli come Sanguineti” alle persone che pronunciano frasi incomprensibili, è furibondo, sostiene che gli intellettuali non si fanno capire, che Sanguineti è dannoso e sta facendo danni al Partito, che così “si perde la base” e io fatico a capire cos’è “la base”. Mio papà dice che non bisogna leggere Rinascita di Asor Rosa perché non si capisce niente, bisogna invece leggere i libri perché, anche se al momento non si capiscono, vedrò che li capirò poi, anche se me ne scordo. Mi ha regalato una riduzione di Moby Dick e però io ho letto Papillon e ho capito subito, non dopo. Moby Dick non lo capisco, il mare di Moby Dick non è come quello dove scappa Papillon e mi fa schifo, la balena bianca non la comprendo. Al momento non comprendo.
Tu ti muovi non comprendendo e però ti muovi. Tu sei nel mondo e non sei del mondo. I tuoi sogni emanano luminosità sottili. Le tue arterie sono luminose, blu e rosse, due, verticali, ai lati del corpo. Vedi i fantasmi e sai che hanno un volto e sorridono. Sai che i gatti sanno. Non esiste tremito cerebrale. La cultura ti assale come un oceano di pietra, Moby Dick ti divora costruendoti, pietrificandoti con il suo sguardo vuoto, più vuoto del tuo che è incantato anche quando non avverti l’incanto, piccola specie che sogna, animale che ride senza sapere perché ride, costruendo nella sabbia a Cervia la cattedrale anche se non sei battezzato e poi la distruggi come un mandàla e secondo la logica dei mandàla.
Poi si fa la staffetta, perché ai portoni delle scuole i poliziotti non fermano i bambini comunisti come me e affronto ogni volta la soglia dello spavento supremo, bussando alla porta chiusa del seggio per chiedere se hanno finito di scrutinare le schede, e quando hanno terminato lo scrutatore comunista mi passa i risultati, li raccolgo, corro alla sezione calpestando il cemento sporco e afoso milanese, con la foga olimpica dell’immissione nel cerchio adulto, protagonista di uno scoop che mi rende importante, “io” si rafforza, prende contorno, e quanto era prima che non fosse “io” si pietrifica e consolida e questo dà ora felicità e nel futuro il dolore della soglia suprema. Consegno le schedine con i voti, mio papà e altri ricopiano i dati su un enorme foglio bianco dove sono stampati i simboli dei partiti, quello del Partito Radicale è per me affascinante e lo ricopio continuamente ricalcandolo in trasparenza sul foglio A4 di cui la sezione del PCI è ricca (due anni dopo mi affascina il simbolo del P.O.E, partito reazionario stranissimo poi messo fuori legge, ci sono dei cespugli da cui spuntano due ciminiere di centrali nucleari, è un partito che dice mio padre “indaga sulla pista maltese” dopo Moro, non si capisce nulla, nulla, anche adesso se si guarda qui alla data 26 marzo 1988). Poi i numeri elettorali vengono comunicati in lunghissime telefonate impossibili, perché è sempre occupato, alla “Federazione”, che è la sezione delle sezioni e che mi fa paura per la sua autorità, dove c’è uno che si chiama Draghi che elabora tutti i dati e dice che abbiamo vinto e nascerà la giunta con sindaco Carlo Tognolie bisogna assolutamente fare “il laboratorio migliorista“.
E’ l’ondata rossa: la chiamano così. L’avanzata delle giunte rosse.
Quando muore, dopo, Aldo Moro, io sono in piazza Martini con mia madre e mia madre dice che arrivano i carri armati, che tutto è finito, che i movimenti sono finiti. Mio padre è commosso e poi dice che “l’opportunismo della frazione ha eliminato l’ingraismo per sempre”, lo ricordo.
Allora io vado in camera e disegno sui molti fogli A4 rubati nella sezione un progetto per colonizzare Marte e impiantare delle ciminiere che fanno fuoriuscire ossigeno e creano l’atmosfera e anche un modello di scarpe con la suola di piombo pesantissima per replicare la gravità terrestre e una medicina perché sicuramente su marte, con gravità ridotta, ho letto che le ossa umane si sfaldano, servono anche delle tute di nylon che respingano inizialmente le radiazioni e si possono trasportare su Marte tutte le bombe atomiche e nucleari dei temi che ci terrorizzano alle elementari e alle medie, la bomba, la bomba, la bomba…
Subito dopo le amministrative era uscito un fungo tossico a Seveso e i bambini della mia età avevano una rosolia che durava tutta la vita.
Due anni dopo Bettega segnava all’Argentina, ero a Cervia, ai Mondiali, c’era una canzone di Kate Bush, me lo ricordo ma non sono sicuro, è tutto confuso, offuscato.Poi l’anno dopo mia mamma piegava la radio e staccava la fiancata di plastica nera e appariva il posto dove ascoltare i dischi neri di vinile e si sentiva sempre Franco Battiato che cantava dell’uomo che gli offriva sigarette turche e grazie a quella canzone io iniziavo a scrivere le brutte poesie.
Ricordi tremuli di agosto distante, vita stata, memoria degli spettri che si stanno per incarnare in verità, diventano grasso e avorio e cosa dura, quando lo sguardo non è più il proprio.
Involàti. Disgiunti. Hanno cambiato le prospettive al mondo. Traiettorie impercettibili. Codici di geometria esistenziale.
Gli stremanti ricordi sfocata energia che fa che tu sia.
Sguardo libero nell’etere privo di ricordi. Guardo nel trasparente.
Fai che il bambino non sia più “io”.