Meditazione sui soldi, piuttosto che sul cinema. Allora vado a vedere “Lo cunto de li cunti” di Basile perché lo ha fatto Garrone. E’ a Cannes e, stando a Cannes, pare davvero di essere a Cannes. Prima di Basile e di Garrone c’è una pubblicità, come le pubblicità prima del cinema, quelle di tre o quattro minuti che, se sei nella solitudine, ti fa sentire bene che puoi non occuparti della solitudine cliccando, per sconfiggerla. Questa pubblicità è di una mostra del “Mercante che ha rivoluzionato la storia dell’arte”, un ottocentesco con i baffi e un cappello che faceva i conti dei galleristi esponendo i migliori, quindi puoi vederli sul grande schermo, Monet, lì così, con la cinepresa che indaga, vedi questo documentario obbligandoti per l’eccezionalità della cosa a andare ben prima di pranzo alla “Matinée” dentro il cinema la domenica mattina, chiuso dentro, nel buio, con il gigantesco Monet che non avevi visto mai, in un evento esclusivo, unicamente per te e mattinale, insieme a altri. Poi inizia Basile. Quale è la morale? La regia è di chi? Sono tutti e tre a Cannes, la Cannes è la tappa fondamentale del mercante dell’arte, ma non ha più il cappello con i baffi: eccezionale. Grande fantasy con dei costumi, fisso che sono di Dante, Ferretti. Ecco, dei re, con una recitazione parossistica da Salma, Hayek, che era una via vicino a dove viveva mia mamma nei Novanta del secolo scorso, insieme alla grande arte di sughi strani e carni frollate e i frombolieri continuamente e ecco: nasce un albino, due. Si amano, ma non omosex. Bene Vincent Cassel che è: trombare trombare trombare. Quanti soldi ha dato il MiBac a Matteo Garrone che voleva trombare chi? La figlia del boss delle Vele di Gomorra? Non è sodomitico? Cosa c’entra che un re fa la sua Sodoma accarezzando una pulce schifosa fatta da Dante Ferretti del peso di circa trenta chili? Quella pulce è una bambina e ha problemi di respirazione. Arriva Flavio Bucci marito della Rorwacher ma è Ceccherini e muore dopo trenta secondi, muoino tutte, con i figli, in una ordalia, orgiastica, di frutti putrescenti di una Caravaggio Botticelli senza tante storie che lui ti fa con la cinecamera. Bello il Castel del Monte di Federico Secondo, eccezionale, come costruivano moderno a quei tempi come archistar spartane oggi nello skyline di un altipiano dove tramonta il sol in de la baya. Grande. Miliardi di milioni di miliardi spesi a sferruzzare per questi abiti senza lingua e quindi senza storia, uno esce dal cinema con la faccia di Basile spaccata di scorticamenti del sesso unto dentro il Seicento del pianeta uomo, stile gli Angela ti fanno vedere il passato che non c’è e penso: povero Manuli, non danno neanche un soldo per fare fare il film a lui, li danno a questi, nella Roma delle mafie di Gomorra, adesso ne fa un serial, ne fa un sequel, fa schifo. “C’era una volta” è una serial che mio figlio vede con un Peter Pan cattivo che non ti aspetti, dentro diciotto universi fantasticamente non familiari, costumi di Dante e di Ferretti: è molto meglio il serial americano di queste favole rivisitate che lo “Cunto de’ li Cunti” di Basile fatto con Garrone, film “Cuore” dove Salma mangia un cuore crudo e basta. Fa schifo. Non c’è davvero più nulla in questo nostro tempo inflitto? Non c’è più nulla dove stanno a ciceràre tra di loro nella Roma delle Mafie piccine con molti soldi attorno che li consolano, tipo oggi nella “Lettura” che parlano Giorello e Max Pezzali di abolire Twitter dal venerdì per stare calmi. Ogni parola qui è vera, è così, lo spergiuro, non andateci, tanto è tutto uguale, la stanza del figlio di sua madre Moretti, la serie tv di Sorrentino “Grande Bellezza” che continua nella “Grande Giovinezza” che è la vecchiaia e anche Garrone, a volte pelato a volte no, dipende dalle foto, a volte ha anche i ricci nella pettinatura un po’ stempiata, ma ti dico: riccioloni!, e vanno sulla Croisette e il tempo non se li ricorda, manco me e te si ricorda e non c’era l’arte: guardala nelle pieghe, stare fermo senza le recensioni e nella tensione di un silenzio strano come diceva Kafka. Ecco, era questo, vedi tu, un po’.
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