Dopo la recensione a “Io sono” che Marco Belpoliti ha scritto su ttL e che spero di pubblicare domani, propongo un complesso e molto profondo saggio che a “Io sono” ha dedicato Andrea Ponso su “Carteggi letterari”. Del saggio che mi ha pubblicato Il Saggiatore, Ponso aggredisce il versante del discorso metafisico, declinato soprattutto sul versante della testualità, letteraria in primis, mostrando la natura del bisturi con cui da tempo egli disseziona ogni evento, ogni parola, ogni ritologia che incontra sulla sua strada di mistico privo di tonaca qualunque. Conosco questo poeta e teologo dal 1993. Mi invitò anni fa a un seminario su male e lettertura, in quel di Noventa Vicentina. Stavo, ricordo, malissimo. Erano i giorni in cui si andavano a chiudere anni di sperimentazione di una determinata terapia, di cui avevo trattato in alcune narrazioni. Giravo solitario per questo paesino tra il palladiano e l’aberrante, ammesso che il palladiano non sia aberrante. Telefonavo per ore. Rigettavo me stesso in quel vento a strappi dolci. Era una cosiddetta crisi di passaggio e preludeva alla fine di certo disagio. Fui così anche a Cortona in un mio 1993, ricordo, e alla Mondadori in nero una volta nel 1997. Chissà come stavo in piedi: faticavo. Il vento tumultuoso nello spazio aperto percoteva suv privi di benzina, che i noventini vicentini non potevano riempire di carburanti ad hoc e li mostravano, girando un poco per le poche vie e mostravano i loro suv della ricchezza. Ed era il male ed era la letteratura. La teologia di Andrea Ponso è tale: non è una metafisica pratica: non ancora. Così la sua poesia è tale: ancora non cancella la scrittura, la sua scrittura. Ciò non significa che Ponso non sia un teologo o non sia un poeta. “Io sono” è un saggio in apparenza, che dice di me quanto ho appena scritto di Andrea Ponso. Lo stacco dell’essere, del concreto sentire di essere, qui e ora (e quando abbiamo mai sperimentato qualcosa che non fosse qui e ora?), è il problema comune e, forse, essendo tale, indica una comunità: è un nodo politico e forse addirittura il nodo politico. Abbiamo letto davvero “La repubblica” di Platone? Di Andrea Ponso sta per uscire presso i tipi de una traduzione ed ermeneusi stupefacente del “Cantico”: sa bene l’ebraico, ma non basterebbe, bisogna sapere e soprattutto sentire altro, per arrivare a quei livelli. In questo saggio su “Io sono”, Andrea Ponso mostra che tutto il libro significa questo: “ecco”. Questo avverbio potrebbe anche dirsi: “no”, “so di non sapere”, “questo”, “quello”, silenzio e molto altro, molto altro. Le parole tutte stanno per un arresto della mente che non pensa e può pensare qualunque pensiero. Lì sta la cura. Lì sta una chiave di lettura, un criterio, una canonica, anche: così Ponso legge Genna che scrive di Kafka o Lovecraft o Roth o la tragedia classica o Melville o Hölderlin. Ponso legge Genna: e io? E’ certo che io sono, ma: io? Questo saggio è un abbraccio incompleto, come qualunque abbraccio: si resta quasi fuse ma ancora in due, però tanto si tende a un’unità, la quale c’è ed è la sensazione di esserci, senza identità personali o psicologiche o fisiche o emotive: “Prima della prima ameba io sono”.
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