Ascolta, medico, ascolta, grande madre interiore:
fa su di me sera il defunto che sono.
Andò a ritroso della nostra corsa
il poeta ossuto che cantava in titanio i versi,
innamorato di futuro, lo annoiavano le donne
e si sparò nel cuore dello spavento un’anima
di graffetta arrugginita per raggrincire il padre.
Cosa fosse quel passato sovietico vedevo e non so
dire se tra forse e forse mi colpivano le nevi di Chlebnikov,
le equazioni, le sigizie orizzontali sopra i pattini di ghiaccio
e la paura dei viaggi e delle donne, sopra la terra che non è siderea.
Sempre giorno di pena oggi e domani ritornano,
amato da tutti, i sogni e i giorni
sono amati innocui serpenti di nero dipinti
tra scaglia e scaglia, tra l’erba di novembre
andare e morire un poco di amore come una volta si faceva, si faceva una volta.