Il fenomeno vivente

Non si è mai realizzato che cosa è essere vivi. Essere vivi è essere vivo, o viva, è essere viventi: è la stessa cosa. Non si realizza che essere vivo è che è vivo: noi non siamo noi a essere vivi, è l’essere vivo che è vivo – ed è sempre la stessa cosa, è un’unica cosa, non è identitaria. Soltanto realizzando questo o, stando ben al di là dell’orrore che è la tradizione andata accumulandosi con la storia dei linguaggi, soltanto capendo bene questo per esperienza diretta fissata e sedimentata e definitivamente acquisita, soltanto allora si comprende che la morte non c’è. Muoio io, muore lui, muori tu, muoiono loro, muoiono tutti: non muore essere vivo. Si continua a sentire che si è vivo. Questo punto preciso è ciò che si dice: coscienza. Si tratta del passaggio fondamentale in cui si impernia la storia umana, qualunque storia e anche qualunque assenza di storia o trascendimento della storia: sempre, se qualcosa è, ha questo preciso punto da realizzare. La possibilità di realizzazione è data dal fatto che, volente o nolente, qualsiasi cosa sia *è che è vivo* e muore la qualsiasi cosa, che si credeva qualsiasi cosa, mentre non può morire che è vivo. Da qui discendono gli universi. Si prenda per esempio l’amore. L’amore non egoico è da realizzarsi, nel senso che l’amore, per come è stato vissuto dagli umani a qualunque latitudine e in qualunque momento della vicenda di specie, ha istantaneamente comportato la paura di perdere l’amore. Questo viene detto: dualità. Una cosa c’è e al contempo c’è l’opposto e tra questi due poli viene a concrescere qualunque reazione e anche l’opposto stesso di quella reazione. La paura di perdere l’amore è la paura di estinguersi, di perdere che è vivo, il fatto che si è vivi. Dentro quella paura si è vivi. Non siamo noi, i configurati, individui e specie, a essere vivi: è un’unico “punto”, o “momento” o “istanza” o “potenza”: l’essere vivo. In quanto è vivo, l’essere vivo non muore. Lì va a zero proprio la dualità. Detto così sembra astrattissimo, sembra falso, sembra teologico, sembra addirittura indecente, comico, inventato, secondario, bizzarro, bizzoso e indefinite altre qualificazioni. Si ragioni dunque su cosa è amore. C’è un amore dentro la dualità e c’è un amore che sta prima durante e dopo la dualità. Un altro punto ambiguo, tenuto in gran conto in questa minuscola contemporaneità, è il trauma. Il trauma è traumatico, non ci piove. Però è traumatico dentro la dualità, laddove si scatenano le reazioni (storiche, affettive, mnemoniche, rimozionali) al trauma. Però in sé il trauma è letteralmente questo: continui nel trauma a essere vivo. Ciò non fa del trauma una bella cosa da sperimentare. Questo, perché sperimentare, per gli umani, è fare esperienza nella dualità. Proprio non ci pensano, le macchine umane, alla possibilità che si possa fare esperienza non nella dualità: sembra loro che il mondo non esista, che non si faccia esperienza. Non è così. L’unica esperienza reale è quella che si continua a fare, solo non ci si accorge di farla. Dentro il trauma, vissuto nella dualità, c’è la paura di non essere più vivi e cioè anche non essere più amati, non trovare nutrimento, non esistere.
Di tali cose, in modo che ammetto essere molto criptico, ho scritto nel saggio “Io sono” (il Saggiatore; se interessati, qui alcune informazioni: http://amzn.to/1NU0kcd). Esse costituiscono anche il cuore di un irradiamento, tra i molti possibili e del tutto personale, che è la mia scrittura “letteraria” – non è possibile leggere quello che scrivo, se non in questa “direzione”. Per tale motivo il libro che ho da scrivere ora è davvero difficoltoso per me: in quanto desidera non essere alcun riflesso, alcuna irradiazione, personale o meno, bensì questa cosa stessa in atto. Per fare questo bisognerebbe uscire dal linguaggio. Come si esce dal linguaggio (cioè da ritmi, immagini, sostanze, declinazioni, retoriche, rapporti, suoni, silenzi) facendo linguaggio: è un problema antico, ma io lo considero soltanto in questo senso e in questa direzione: stare in un’esperienza non dualistica. Anche qui: detto così, sembra astrattissimo, etc. Non lo è.

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