I quarantanove cinquantesimi delle scritture acquistate dagli italiani negli ultimi cinque anni non sono tali: non c’è scrittura. Questo significa che l’editoria, in primis, non ha selezionato scritture. Si potrebbe guardare a questo fatto da molte prospettive, tutte legittime, ma ciò non toglierebbe che il fatto è, è questo, ovvero che non viene scelta scrittura e non viene acquistata scrittura. La scrittura va letta? Non credo che essa sia da leggere necessariamente. Essa conferma, tra i molti apparati percettivi, quello centrale che è iscritto nell’istinto di sopravvivenza della specie e che è una lettura della realtà, vale a dire una testualità del mondo, considerare il mondo come testo. A me importano le scritture, laddove intendo una scrittura come forma di arte e sfondamento di qualunque limite, immersione e incantamento, cognitivo ed emotivo e corporeo e ciò che si concreta in cognizione emozione e corpo, il che io chiamo: metafisica. Posso indignarmi per l’infinitudine dei giorni, considerando quello che i miei coetanei hanno non fatto o indegnamente compiuto per abbattere tutto, nella loro stolida inermità assassina, con le loro retoriche fintamente borghesi, con la mosciaggine criminale che ravvedo corroborare loro quanto ritengono essere la vita e invece è semplicemente pallore agonico, inconsistenza larvale e pulviscolare e purgatoriale. A mio parere la fascia anagrafica 40/60 è responsabile non di un genocidio culturale, poiché è proprio scorretto pensare che esista un genocidio culturale, però sicuramente è colpevole di pavidità nei confronti del passato e del presente e del futuro: non ha compreso il proprio tempo e nemmeno quello altrui. I nostri padri, del resto, erano degli imbecilli, non ce n’è uno che abbia sentito il momento storico, si sono tutti identificati nel momento che vivevano, hanno proiettato cazzate immani sull’avvenire e sul proprio presente, sono in pochissimi coloro che si sono salvati, dico ai miei occhi. Se uno prende Italo Calvino e legge cosa scriveva a proposito di Ginsberg e Kerouac, ha un ottimo esempio di cosa sto asserendo. L’accademia è crollata nella grottesca renitenza di spiriti debolissimi, tuttora impegnati a reggere la baronia, vantandosi di essere depositari di filologia, che sia testuale o di altri àmbiti disciplinari fa lo stesso, quando gli animi più accorti e infidi, ovvero i più meritevoli e pericolosamente rivoluzionari, sono filologi dinamici e sapienti ben più di queste esecrabili spettralità da lunapark in dismissione. Se prendo la mia generazione, non dico quanto a produzione letteraria, ma perlomeno quanto a organizzazione della cultura, ravvedo insulsaggini a iosa, nel corso di venti anni, cazzatine che agghiacciano, manifestini e piccole iniziative tese a erigere le biche in cui le formiche nemmeno sanno prendere asilo – che so?, qualcuno si ricorda della “generazione TQ”? Non hanno capito niente, in un ventennio, hanno alacremente lavorato alla dissoluzione della possibilità e dell’eccezionalità, alla normalizzazione del genio, che non è individuale soltanto, è soprattutto diffuso. Quante genialità ho constatato essere schiacciate, non guardate, ignorate a bella posta, osteggiate, nel ventennio ultimo! Questa è una norma tipica del tempo umano: la norma normalizza, il genio viene ridotto, premuto nel minimo spazio, si cerca al limite di corteggiarlo per depotenziarlo. E’ sempre accaduto, da Dante Alighieri a Torquato Tasso a Giacomo Leopardi a Carmelo Bene. Consentanei a ciò militano a favore dell’orrore meschinello gli autonominatisi irregolari, via via reclusisi nel periferico o nell’anonimato pervicacemente quanto narcisisticamente cercato, oppure eiettori di una mai giustificata visionarietà, essi stessi privi di visione, di lingua, di sentimento, delle monorotaie umane con il rancore che fa tutta la loro inesistente poetica e la capacità di organizzare strategicamente il discorso politico, il quale è il fatto culturale in sé. Questi allucinati sono automaticamente pericolosi, perché occupano il discorso: già questo che sto scrivendo sembrerebbe incluso nella loro angosciante retorica, che non ha mai prodotto nulla che avesse un valore. Se mi venisse chiesto chi, nel mio comparto anagrafico, ha visto lungo ed è stato in grado di mantenere la consistenza del luogo in cui il discorso si fa (il politico, il culturale, il letterario), senza tema di smentita direi che sono i miei coetanei che compongono la band artistica Wu Ming: è l’unico esempio di partecipazione fattiva, di messa in gioco delle forze, di studio e di verità e di gioco e di scherzo e di filologia e di filosofia, anche se già là in fondo si alza qualcuno a spaccare i marroni con l’obiezione dell’ideologia, del vecchiume leninista o stalinista, che sono due aggettivi molto diversi, ma che oggi per questa poltiglia grigia risultano il medesimo aggettivo. E’ chiaro che ho molto generalizzato: Luciano Bianciardi non era Edoardo Sanguineti e Tommaso Pincio non è Roberto Saviano – ma che già si fatichi a comprendere in che senso accosto e oppongo questi nomi, che sono lettera, mi dà agio di pensare che l’epoca, meglio le epoche, le quali ho vissuto, sono state cecità, infingarda vergogna, con un potenziale di amore che non in tanti hanno visto e vissuto effettivamente. E’ sempre la norma del tempo, questa – però lo è stata in modo un poco più angosciante di prima, in quanto i protagonisti di questo andamento costituiscono gli emblemi di un’irrilevanza assoluta, di una dimenticabilità che dà un minimo di sollievo, di un’assenza invereconda di divertimento profondo. Adesso, e non ho compreso se a tutti è chiaro, muta tutto, a una velocità mai prima esperita. Si va nel fuori. O si studia questo, davvero, o si perisce senza avere capito niente, senza avere vissuto niente, avendo non amato chi viene dopo, che è la figlia e il figlio, realmente, letteralmente sono i nostri figli. I miei coetanei non amano i propri figli: mi è evidente. Adesso arriva un futuro che rende nulli, idioti nemmeno più utili o dannosi, questi spiriti privi di spirito, queste aberrazioni antiumanistiche, che per anni si sono fregiate a scrocco del titolo di umanisti. A costoro mi piace continuare a ripetere, in questi giorni, negli ultimi mesi, negli anni appena trascorsi: ciao ciao bambini, non vi ho mai amato almeno il decuplo di quanto voi non avete amato me. Muta tutto: preparatevi, ma non importa se non vi preparate, tanto si incarica di prepararvi la realtà che è già qui, che è la medesima realtà che sta arrivando, per voi impensabile e apocalittica, e che è molto diversa dalle realtà che avete vissuto. Siccome è nuova, si mostrerà in questo impatto la vergognosa natura culturale e politica con cui vi siete erti sul pianeta Terra, che è questa cosa: siete dei reazionari nel midollo, siete dei fascisti naturali. Quindi: ciao ciao bambini, senza la virgola del vocativo.