Confronto Renzi-Zagrebelsky: è dal “Drive In” che non assistevo a una trasmissione tanto surreale. Non mi risulta facile essere empatico con il premier, eppure ieri venivo trascinato in un’identificazione totale, a fronte dell’incredibile visione del mondo sottesa alle parole del “professore”, che non mi pare meritare tutto questo rispetto a fronte del suo titolo. Stiamo parlando di uno che non ricorda come votò nel 2001 all’angosciante modifica della Costituzione proposta dal governo D’Alema in un referendum, che fu assai più pericoloso dell’attuale, a mio avviso, sinceramente modesto. Le argomentazioni del costituzionalista avrebbero segnato un caso spettacolare, se ancora si vivesse in un’epoca in cui lo spettacolare fosse capace di segnare la memoria. Non è l’incapacità di comunicazione a contatto del medium televisivo, ovviamente, a creare un problema. E’ l’ontologia stessa di Zagrebelsky. Ci sono ragioni importanti per cui questo signore propone il diniego alla modifica della Carta, congiunta alla modifica della legge elettorale. Tuttavia il metodo con cui egli non ha dichiarato la legittimità di tali ragioni è significativo. E’ una prospettiva sulle cose assai rettile, come sono rettili i gaviali del Gange, che paiono addormentati e poi di colpo addentano la preda, di nascosto da chiunque, e nulla muta, il ciclo alimentare il gaviale lo impone del tutto naturalmente, è il suo e gli altri si adattino, è così da millenni. Ciò non significa tifare per un mutamento scriteriato. Tuttavia osservavo la lutulenza delle argomentazioni, la capziosità nemmeno tecnica, non era il tecnicismo a colpirmi, bensì la tutt’altro che pacifica constatazione (come ha osservato il giurista) della “insolvibilità delle situazioni complesse”. Era davvero una sessione di esame dei tempi in cui ero all’università. Si percepiva una distanza abnorme rispetto ai problemi di quello che continua a essere il tessuto sociale, con la sua attualmente sciamannata elaborazione collettiva dei problemi. Renzi è inabile a proporre la circolazione dell’energia dialettica, di una lotta progressiva che renda capaci “i cittadini” di risolvere eterni problemi, da cui derivano quelli di cui si occupa puntualmente lui: la sperequazione devastante tra ricchi e poveri, l’insostenibile distanza tra classi che si sono trasformate e hanno generato antropologie inusitate – questo prospetto sfugge al supposto efficientismo del premier, quanto alla presbiopia e all’astigmatismo ontologici del venerabile costituzionalista. Io percepivo la percezione di Zagrebelsky: risale al 1978, nemmeno all’85. La dialettica parlamentare, come se la immagina lui, non è nulla dal punto di vista politico, poiché è venuta a mancare la sostanzialità della delega di rappresentanza. Qui risiede la falla dell’attuale contesto democratico. L’esposizione di simili ragioni appartiene a un universo parallelo a quello in cui vive e argomenta, con inaudita e pervicacissima inabilità al sillogismo, il non molto acuto erede di Leopoldo Elia: e dico: Leopoldo Elia, che mi ricordo bene ai tempi e non ho alcuna intenzione di prendere a mito personale o a soggetto di qualsiasi riverenza. Era una delle infiorescenze più metafisiche dell’apatica epifania televisiva a cui ho avuto l’onore e l’onere di assistere ierisera. Leopoldo Elia. I punti qualificanti delle argomentazioni macilente di Zagrebelsky non hanno avuto risposta. Direi essenzialmente uno, che varrebbe tanto la pena di discutere: il carattere esecutivo e non parlamentarista della riforma è angosciante. Renzi ha le sue buone ragioni, che sono coincidenti con quelle berlusconiane, che lo voglia o meno, ma che sono anche le stesse de “i cittadini” comuni, sepolti dalla burocrazia tombale di uno stato che non è mai stato organizzato per educare al rispetto delle ragioni altrui. Tutto ciò che si dice di Renzi è comunque capzioso, perché appartiene alla discussione di una stagione politica, cioè l’attuale, pronta a passare, se non tra poco, magari tra vent’anni: ma passa. Quando si toccano i meccanismi di ciò che regge, in Italia, si rischia sempre la deriva orrenda, perché l’italiano è un popolo fascista per costituzione e antifascista per Costituzione. A proposito di tombalità, dunque, ho assistito al più carnacialesco addio alla possibilità di discutere seriamente. E’ una forma televisiva tra l’altro inedita, non si era mai visto Goldrake contro Jader Jacobelli, Pikachu contro Vittorio Orefice, la Pepsi-Cola contro l’erede manierista di San Girolamo, il giovane Soros contro uno degli amici di Giobbe, Elon Musk contro Černenko. Si è sempre visto, in Italia, il parvenu contro l’ex pavenu – un genere metastorico di cui siamo detentori grazie a un brevetto plurimillenario. Non è il caso di parlare di affossatori della patria e di padri della patria, poiché non c’è nessuna patria, ma non nel modo in cui sarebbe auspicabile che non esistessero le patrie. Morale: cosa voto? Sono placidamente adagiato sulla mia perenne italianità – vorrei scrivere, ma non gliene frega un cazzo a nessuno, non so come vivere, ma vivrò in qualche modo per sempre, finché Padre Pio me lo consente. Giusto? Va così?