Il social network

Fincher criterion outside page

Ad altezza 2009 mi trovavo in una casa editrice e dissi alla responsabile dell’on line questa sesquipedalità, di cui non riesco a non pentirmi negli anni: “Facebook non è fondamentale, è freddo, non crea e non creerà nessun immeginario”. Probabilmente stavo comportandomi da scrittore, avvertivo la pelosità di me stesso e ne sparavo una così, come se fossi un oracolo, blandito e coccolato dall’imperatore editoriale, che allora ancora poteva essere percepito quale imperatore, mentre oggi qualunque imperatore editoriale non è nulla, assolutamente nulla, esattamente come sono nulla io in quanto scrittore. Mi sono sempre vergognato di quella boutade, eppure non avevo del tutto torto, avevo infatti ragione per metà. Non esiste il minimo dubbio circa il contributo che Facebook ha apportato nel mutamento antropologico, subitaneo e devastante, che abbiamo verificato in questi otto anni. Tuttavia è anche vero che Facebook non ha contribuito di un grammo all’immaginario collettivo, costituendo la fase storicamente avanzata in cui l’idea stessa di immaginario collettivo è andata congelandosi o cadendo in un oblio che non può che apparire strano o estraneo a una bestia ibrida e parzialmente novecentesca come me. Il film di Fincher, “The social network”, ne diede una rappresentazione sintomatica l’anno successivo a quell’azzardo mio, pittoresco offensivo e ridicolo: Facebook trovò rappresentanza in una delle storiche sedi dell’immaginario collettivo, cioè il cinema, ma ci riuscì attraverso una grana gelida e un’esposizione dell’assenza di simpatia e umanismo, a partire dal dialogo iniziale tra Zuckerberg e la ragazza. In questi anni è collassato tutto ciò che riguarda l’immaginario collettivo: la possibilità di sedimentazione, e cioè di tempo, tanto quanto la percezione del libro come canale rivelativo di una qualche verità universale o interiore, l’informazione come sorpresa e scandalo della storia così come il curriculum vitae quale deposito esperienziale che filtra l’eventuale profondità dell’autore o della persona dedita a una qualche creazione. Sono i segnali di accelerazione, convergenza e singolarità tecnologica, che tuttavia è già una singolarità antropologica. E’ crollata la psicoanalisi come modello interpretativo della realtà e possibilità terapeutica, è crollato il giornalismo quale palcoscenico dello spettacolo serio, è crollata la televisione quale escamotage per perdere tempo divertendosi, è crollato il lavoro quale forza fondamentalmente inerente al tessuto collettivo, è crollata l’educazione quale strumento dell’accumulo di esperienza e di esposizione alla forza dell’esempio, è crollato il denaro quale potenza al contempo simbolica e pratica, è crollata l’idea stessa di storia come canone e come vicenda… Tutto ciò ha impiegato meno di otto anni ad andare in uno stato di sospensione strana, più che di crollo, attraverso un’esplosione del fenomeno in questione, che corrisponde a un allargamento e a una nebulizzazione colossali, a fronte dei quali cresce un’indifferenza abissale per la relazione tra se stessi e quel fenomeno. E’ la cifra della società che giunge dopo l’esplosione di quella spettacolare. In tutto ciò Facebook si sospende ulteriormente, strumento privo di capacitazione degli immaginari. Da mesi non c’è Facebook, i giovanissimi lo considerano un network per vecchi, uno che ha 40 anni fino a ieri in Italia era ancora un ragazzo, lo chiamavano “ragazzo”, mentre oggi è un vecchio. Questa senescenza va di pari passo all’impossibilità di intervento in termini di immaginario, a meno che non si considerino immaginario le creazioni culinarie, le bufale pentastellate, i milanesi imbruttiti e i bastardi dentro, le elucubrazioni a meno di 145 caratteri, la battutina semitroll. Ciò che sta avvenendo con Facebook, se posso azzardare una nuova previsione di cui presto avvertire l’insufficienza e la pena che ne consegue, è l’aumento di indifferenza rispetto al mezzo stesso, in attesa di un salto hardware del sistema, che non so francamente dire se sia il casco VR o la realtà aumentata o l’assistente a intelligenza artificiale. Sembra di stare in un impero post-Traiano, ecco che i confini elasticamente si contraggono, ecco che l’espansione è finita, si definisce che la distribuzione fisica è Amazon, l’esibizione caricaturale della professionalità parartistica sono le views su YouTube o i follower Instagram, la comunicazione è Whatsapp, e via così, tra cazzate sempre più grottesche in cui sono andati a infilarsi i reperti osteolitici di ciò che fu sentimento popolare e collettivo politico. Siamo dunque, se vedo bene, e può essere che veda malissimo, alla vigilia istantanea di un salto di qualità di un simile sistema accelerato: adesso deve arrivare un nuovo tipo di device, che siano nanobot o lenti importa poco. Nel frattempo va in evaporazione anche l’impiego di tempo che la ritrazione di Facebook lascerà libero. E’ quindi da prevedersi un sentimento di debosciatezza generale e confusiva, perché quel tempo sfruttato per il proprio narcisismo e l’eccitazione momentanea dei sensi non ha più un oggetto d’amore o un feticcio, non c’è più il libro, il videogioco c’è talmente tanto che non c’è proprio, forse non ci sarà nemmeno il narcisismo per come lo abbiamo conosciuto prima e durante e dopo questa impennata trepuntozero – probabilmente ci sarà un automatismo cognitivo e una paralisi dell’emotivo, come già si vede se si pone occhio a quando si va in giro per le città, sui mezzi pubblici o in quei templi istantanei e aerei che sono gli eventi. Aspettate e vedrete se non vi dà la buonanotte tutto questo, bambine & bambini.

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