Cosa è accaduto negli ultimi anni? Perché qualcosa è accaduto.
Non credo che sia accaduto a me nello specifico, seppure io mi trovi a confrontarmi con aspetti di realtà che sono desumibili da un contesto ampio, trasmutato, geneticamente modificato. Se devo elencare i mutamenti che dove vivo si sono manifestati, come sintomi di una patologia o di una trasformazione generale, farei questo elenco: dissoluzione definitiva del concetto secolare di “tessuto sociale”, con tutte le pratiche di vita che si dissero “collettive” almeno da inizio Ottocento fino al 2010; conseguente evaporazione della partecipazione e dell’idealità del politico; stabilizzazione della lotta di classe declinata a lotta tra generazioni; nichilismo giovanile come prassi naturale; avvicinamento al superamento del valore del lavoro e del concetto stesso di lavoro umano; abbattimento delle soglie di attenzione dei singoli individui; radicalismo di ciò che per due secoli era considerato alienazione e trasduzione dell’alienazione a valore sociale; esplosione e vaporizzazione dell’emittente spettacolare, con idonea atmosferizzazione dello spettacolo stesso; annichilamento dell’oggetto libro come veicolatore del senso, del pensiero e della percezione di verità; abbandono dell’assolutismo della fede e riduzione del principio-Dio a vaghezza e stanco monologo interiore; imporsi dell’accelerazione tecnologica, nella convergenza di discipline chiave, e consequenziale rivoluzione antropologica quanto a gusto, ideologia e pratiche sociali; avvicinamento alla soglia di superamento del concetto di denaro, il quale viene recepito o percepito in una nuvolaglia indistinta di rappresentanti del valore economico, per un arco molto ampio, che va dalla finanziarizzazione estrema all’emersione del microdenaro, dal voucher alla polverizzazione del reddito unico per la logica del freelance; azzeramento della percezione della delega di rappresentanza nel sistema democratico, sclerotizzato a sistema burocratico e incontestabile; omologazione dei percorsi di immaginario; enfasi retorica alienativa sui concetti di “sogno” e “talento” e “narrazione”; collasso dei paradigmi della cura psicologica e della cura di sé; nebulizzazione della produzione umanistica; frammentazione della produzione per capitali del fatto spettacolare; cronicizzazione sempre maggiore di malattie mortali e alleviamento delle cure radicali; esodo dalla logica concettuale di base, da quella posturale e da quella mimica; assolutismo dell’abbattimento del tabù familiare, di genere e sessuale, con incremento della popolazione asessuale; abbandono del canone storico e dell’idea stessa di canone. Potrei andare avanti e dovrei farlo compiutamente, magari in un saggio, che tuttavia in pochissimi leggerebbero. Ciò che si profila è comunque per me marchiato da stemmi che trovo personalmente disgustosi, quasi che mi trovassi addosso le rune naziste: dico che desumo io stesso, da questa situazione, un abbattimento personale e forse un nichilismo, una mancanza di percezione di senso, entusiasmo, memorabilità e vivescenza, rispetto a dove e come mi muovo esistenzialmente. Questa è la situazione, per come la sento. Questo è anche ciò di cui ho scritto nel libro che ho consegnato l’8 di gennaio all’editore: lo specifico, perché è nella scrittura che non ho sentito un microgrammo di abbattimento e nichilismo. Vorrei vivere di scrittura, ma ciò non pare più possibile, e ne sono dispiaciuto, non per avidità, ma perché è il luogo in cui io sento per me, e solo per me, prendere realtà la prassi metafisica, che inseguo da decenni. Non sono pessimista: mi limito a osservare che così percepisco e penso la realtà di questo passaggio storico, in cui sono inscritto. E l’antico amore? Torno a vivere.