Nel nome del popolino italiano

L’atteggiamento di attesa nei confronti di forze politiche, più cupe che oscure, a cui la nazione si sottopone, senza eccezioni, aspettando nomi e provvedimenti e norme “rivoluzionarie”, che vengono interpretate come momento in cui si concede “voce” ai “cittadini”, così come in campo avverso si consuma la speranza di una palingenesi attraverso mosse di nomenklatura del tutto surreali, in un’abissalità che il lombrosianesimo accentua in direzione del grottesco, – questa situazione è tutto, ma non il ritorno del sentimento che in democrazia si esercita il potere di rappresentanza attraverso una delega. L’attendismo imbelle dei “cittadini”, tanto quanto la deresponsabilizzazione dei brizzolati con pizzetto e pantaloni rossi in attesa di una nuova e trascinante modalità di atmosfera ideologica assai insatura, definiscono l’assenza di qualunque conato rivoluzionario, di qualunque presa di coscienza che è un tessuto sociale a muoversi e a determinare il momento politico. In questa landa devastata si percepiscono somatosi in libera uscita, atomi impazziti e privi di legami elettrici, una scintigrafia del reale che mette in evidenza un corpo che non c’è. Il chiacchiericcio e l’onanismo di chi ritiene di essere vessato dal sistema statuale è null’altro che un berciare, un gracidare invano. Manca del tutto il principio di autoindividuazione collettiva, una contraddizione in termini che ha fatto la linfa delle nazioni nel corso della storia. Non identificare il re, identificandosi quali sostituti d’imposta, ha creato gravi danni alla coscienza collettiva, in modo particolare in Italia, dove lo sperpero delle responsabilità e l’invidia sociale sono cifre sempre attive di una perenne corsa al peggio. Il deficit di sentimento di un’alternativa non è a queste latitudini una forma delimitabile di “realismo capitalista”, bensì una sopravvivenza del residuo egoistico e della domanda, sempre evasa, di autoritarismo come soluzione all’imbelle carattere nazionale. Un popolo che è sempre e soltanto popolino, tranne in pochi e assai aggrediti periodi di ebollizione politica, marchiati a piombo, quando erano da ricoprire d’oro. E’ colpa degli individui ed è colpa di questa collettività stracciona e sempiternamente immorale, se l’alternativa al sistema (che non è osseo, in quanto è gassoso e, appunto, atmosferico) non c’è, non viene manifestata o nemmeno risulta pensabile. E’ coerente e vive di giustezza l’ipotesi lombrosiana al governo, tanto quanto quella di una sinistra votata all’estinzione delle sue istanze più proprie. Il fantoccio, qui, è dittatoriale. Lo sgravo del peso dalla coscienza di massa è farmacologico. Nessuno parla la lingua della speranza, poiché viene pronunciata soltanto la parola esclusivista, con l’ignoranza che si fa perno del vivere comune e in base a cui si commisurano le eventuali eresie. Pensare che spiriti grandi tornino ad abitare la waste land italiana è un puro desiderio da irrealisti di lungo corso, poiché si dovrebbe vivere da spiriti grandi, tutti, in una fraternità che rischia di scuotere le fondamenta del Palazzo. E’ un Paese Senza, come diceva Arbasino, perché è un Paese con troppi Con: all’incirca sessanta milioni. Resto legato a un’idea progressista ed evolutiva della vita dei corpi sociali, ma mi pare una posizione talmente minoritaria, da indurmi una quota di nichilismo che sdegno e non merito. Nessuno dà la buonanotte a sessanta milioni di bambine e bambini? Posso farlo io, che sono sostituto non d’imposta, ma del Genitore, in quanto scrivo?

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