Mentre il ministro dell’interno, che sta facendo anche il primo ministro e il vice primo ministro e il ministro degli esteri e il ministro dell’economia, totalmente impunito e privo di bilanciamento e controllo, oltreché con piena blandizie spettacolare da parte di qualunque testata e con il favorevole silenzio imbelle di ciò che era il principale partito di centrosinistra, incapace oggi anche soltanto di produrre un paio di tweet contro la deriva autoritaria che la democrazia sta assumendo in Italia (e questa degenerazione, già in Polibio, si diceva: demagogia) – mentre questo proditorio accostarsi alla visceralità del male, che non è mai stato banale nella storia del cosmo e della specie, tranne per chi si lavava la coscienza con il meme lanciato da Hannah Arendt, arriva la notizia che Lavinia Cassaro è stata licenziata. Chi è Lavinia Cassaro? Non sembrerebbe un’informazione necessaria e universale, da titoli di apertura in cartaceo o digitale, a fronte dell’immensità degli eventi storici di cui si sentono tutti protagonisti in questa sequenza di ore, la quale data dall’avvento di Tarquinio il Superbo e oggidì dei superbi senza essere tarquinii – invece lo è eccome, è una notizia cruciale per il vivere civile in Italia oggi.
Adesso scrivo questa cosa *svantaggiosa* e puteolente, che normalmente verrebbe assunta quale errore strategico, nella politica dei sogni di chi ancora ritiene attiva l’ideologia borghese. Ora, mentre destra e sinistra col cazzo sono categorie superate, quanto alla borghesia è possibile eccepire che esista. Il ceto medio è stato fatto fuori dalla crisi: eccetera eccetera, tanto quanto “buonismo”, “rosicate” e incredibilmente “Soros”. Sono tutte analisi incomplete, che scontano una cecità rara quanto diffusa, rispetto alla visione dell’orizzonte in cui siamo tutti inscritti, in questa polla melmosa e tutta italiana. La borghesia è come la televisione: è morta, è trascesa – e però esiste ben più che prima. Così la cifra reazionaria del piccolo borghese è trapassata in conto ai lumpen odierni, i quali sono estesi come ai tempi della servitù della gleba. Il peggio dell’assetto suppostamente valoriale, di cui la borghesia nazionale era propalatrice, definisce l’albero genealogico della masnada proletaria. Sono nozze alchemiche, incomprensibili unicamente per lo sguardo dell’analista ingenuo, a digiuno delle millenarietà italiche, privo di malizia e di strumentazione ermeneutica all’altezza dei tempi e della gens. L’altra sera, in quell’interessante bugliolo di pubblica riflessione e piccole indegnità intellettuali che è la trasmissione di Lilli Gruber, il direttore dell’Espresso, Marco Damilano, proponeva all’economista harvardiano Alberto Alesina una lettura leninista di Salvini e il professore sorrideva, asserendo che l’interpretazione è giusta ma che all’estero non capirebbero mai in che senso Salvini utilizzi una strategia e una tattica leniniste. Da noi invece si capisce benissimo, sempre che non si sia studiato troppo il consiglio direttivo dell’Open Society di George Soros, senza essersi soffermati su natura ed entità delle sue speculazioni contro le divise monetarie prima che entrasse in corso l’euro. Anche questo procedimento lento della riflessione in questo breve scritto lunghissimo, l’utilizzo di questo lessico e i salti retorici che lo scrivente applica all’espressione del suo pensiero, se si guardasse al metro del successo e alla possibilità di penetrare il più vasto agone pubblico, risulterebbe perdente. E tuttavia non sarebbe così politicamente scellerato quanto lo è corredare questo ragionamento con una foto tanto perdente e impopolare – la quale è il ritratto appunto di Lavinia Cassaro, di professione insegnante, quando è stata ripresa mentre urlava ai poliziotti che devono morire. In pratica, questo acme spettacolare della vita della professoressa Cassaro coincide con un gravissimo reato, non si comprende se di opinione, di oltraggio a pubblico ufficiale, di omicidio preterintenzionale o di omicidio volontario, pur in assenza di qualunque salma. L’insegnante torinese è stata immortalata nell’inaccettabile atto di gridare “va’ a morì ammazzato” durante una manifestazione antifascista, convocata contro l’ennesima occasione pubblica in cui CasaPound restava libera di ricostituire quello che vuole. Hanno dipinto questa donna come un’assassina – chi? Non quell’iperministro del tutto e purtroppo del Niente, che è Matteo Salvini. No, a indignarsi in diretta tv fu l’ex primo ministro e attuale ultimo della classe, Matteo Renzi, e con lui la sua fedele ministra Fedeli, non senza portafoglio, ma certamente senza laurea, la quale presiedeva alla pubblica istruzione nella nazione. I due maggiorenti, più sinistri che di sinistra, chiesero che la professoressa Cassero andasse a morì ammazzata: di fame, perché ne domandarono il licenziamento. Una che a una manifestazione antifascista urla ai pulotti la necessità che trascendano il regno biologico, si sa, non ha i titoli morali per salire in cattedra a farsi picchiare dai neogenitori neosuprematisti, neosovranisti, neopopulisti. L’ufficio regionale scolastico del Piemonte ha interpretato al meglio i desiderata del gotha del governo che fu e si riesce a immaginare bene come interpreterà quelli promulgati dal cerchio magico della nuova compagine governativa – un cerchio che coincide con il proprio centro, ovvero quell’umano che è stato in grado di partecipare dodicenne, nel 1985, a “Doppio slalom”, condotto da Corrado Tedeschi su Canale 5, e ventenne, nel 1993, a “Il pranzo è servito”, condotto da Davide Mengacci, all’epoca in onda su Rete 4: un uomo di un certo successo, appunto. Ciò che io ravvedo, nel caso che riguarda l’insegnante Lavinia Cassaro, è triplice: l’aggressione volgarissimamente perbenista, tipica del malpensante che in questo Paese è maggioranza eviscerata e capace di infestare milioni di account social italiani, tutti corredati da bandierina tricolore accanto al proprio nickname; la paura di quelli di sinistra di dire pane al pane, e cioè che bisogna difendere questa donna, rea di nulla, imputata per una ripresa da iPhone, altrimenti bisognerebbe chiedere il licenziamento di tutti gli occupanti delle curve calcistiche della nazione, il che farebbe ben di più dei 30mila lavoratori in solidarietà per via degli esuberi calcolati da Tim; la parabola istituzionale riservata all’antifascismo, che si rovescia in un’iperbole opposta e non complementare. Io invece mi sento di difendere Lavinia Cassaro proprio per questi motivi. Se la polizia del pensiero, come è facilmente profetizzabile, è un must del nuovo tempo che viviamo e che vivremo, ecco un simbolo su cui assestarsi. Ripeto: un simbolo, che è integralmente una persona. In un regime di desimbolizzazione assoluta dell’umano e dell’agire individuale e collettivo, si palesa la menzogna di potere più infame, poiché il simbolo esiste, tanto quanto la radicalità di qualunque persona, come di qualunque vivente. Ben conscio di essermi rivolto, una volta di più, a un ceto riflessivo che non si fa spaventare dalla lunghezza e dalla retorica impegnata in un post su Facebook, a bella posta posto la foto che so già essere non morbidamente condivisibile. Questa immagine dice molto più di quanto afferma l’ipocrisia, che certe azioni e tutti gli individui siano sorpassati o al più vintage. Rovesciamo, anzi, il dispositivo spettacolare: immaginate, mentre osservate il suo sembiante, a chi in questo momento la signora sta urlando che si deve morire.