Occupiamo il Pd?

Vivo giorni tenebrosi, aggirandomi per la città, con un vago vorticare di immagini e parole attorno a me, dai sembianti dei governativi alle loro battaglie di inciviltà. L’aria è satura intorno a me: di mefitica onnipotenza, che il Ministro degli Internamenti emette senza soluzioni di continuità. Il filtro fascistoide declina la realtà attorno, che assume una colorazione rossobruna, gialloverde, blu. In mezzo a tutto ciò, si appalesa un’ancora di salvezza: è l’e-letter del sito di Matteo Renzi. Devo perciò ringraziare il buon cuore del senatore scandiccio, che spunta con dichiarazioni dirimenti e certificate dal sé e dallo stesso, spezzando il silenzio assoluto e complice che vige mentre si consuma la guerra dei bottoni nelle segrete stanze del partito Democratico. Essi sono Quelli Là, che ammutiscono, denegano, assentano i sé e gli stessi, anziché fare partecipare o informare il popolo che quel partito ha votato e non è detto che continui a votare. Dunque il senatore fiorntino non entra affatto nel momento politico, che egli stesso ha alacremente contribuito a determinare, con la sua egoreferenza, tutta votata al sé e allo stesso e però votata da nessuno, bensì si fa sentire dalle remote lontananze in cui è immerso, tramite l’invio di questa e-letter piuttosto ridicola che postmoderna, pubblicata sul sito del sé e dello stesso. Nella sua giovale giovanile sincopata ed emblematica prosa, l’ormai immemorabilmente antico presidente del Consiglio tiene a inquadrare la situazione, non storica, ma del sé e dello stesso. Ci informa che corre 14 km in 75 minuti. Precisa che prenderà una casa con tre stanze a Firenze, chiedendo un mutuo. Si picca di realizzare un emozionante ed emozionato documentario su Firenze con la piattaforma Netflix, per parlare ai giovani, istruendoli sul presente e non soltanto del passato, e immaginiamo il brivido conoscitivo che darà vedere Hieronymus Boschi a fianco di Michelangelo. Puntualizza, il Senatore Che Non Ha Sentore, che gli odierni dati Istat sull’occupazione sono un merito del suo Jobs Act, utilizzando la prima persona plurale, che è poi la voce con cui parlano il sé e lo stesso. Fulmineamente analizza con banalità recriminatoria la sconfitta alle amministrative, che ha portato all’inesistenza il Pd, una debacle più apocalittica che memorabile, e l’analisi politica di un fatto abissale e storico Egli la contiene in cinque righe: “Il PD ha perso la maggior parte dei ballottaggi. E qualcuno ha dato a me la responsabilità. Ancora? Mi fa piacere essere considerato l’alibi per tutto, ma questa lettura del voto è poco più che una barzelletta. Credo necessario fare chiarezza: scriverò sul PD con calma nei prossimi giorni in vista dell’Assemblea Nazionale del 7 luglio”. E tutto incredibile, ma non con l’euforica esaltazione che coglie chiunque si trovi all’improvviso di fronte all’impensabile, perché piuttosto si esce piuttosto mesti da questa lettura piuttosto superficiale e piuttosto egoriferita. Il Mostro di Scandicci detiene il controllo sull’assemblea nazionale di un partito che è stato in grado di rattrappirsi e sparire in scrigni di irrilevanza assoluta. Non è soltanto colpa di Matteo Renzi, sia chiaro: c’è da accusare in toto la nomenklatura, incapace di dire o fare alcunché contro l’azione di potere del governo destrorso più estremista dell’intera vicenda repubblicana. L’unica ruminazione, oltre al pentalogo liberista dell’ex Scelta Civica, Carlo Calenda, è una risposta imbarazzante, da parte di Quelli Là e la risposta sarebbe questa: Zingaretti. Come se non fosse fondamentale e ancor più urgente aprire un dibattito intenso, per elaborare collettivamente le ragioni e l’efficacia di un popolo progressista, che non si identifica più con la sua istituzione di riferimento. Zingaretti: capite? In tutta franchezza: io occuperei il Pd. Per avere detto ciò, usando la metafora dell’assedio al Nazareno, ho anche dovuto sorbirmi sui social le isterie dei fondamentalisti nomenklatori, strani assolutismi renziani e impertinenze franceschiniane – lo dico non perché conti la politica dell’io, ma in quanto è allegorico della totalità. Non è la prima volta che partirebbe un #OccupyPD. Non sono personalmente in grado, in solitaria e contando su un seguito davvero minimo, di organizare questo assedio. Basterebbero 1.000 democratici davanti al Nazareno, che riescano a farsi ricevere e a consegnare a stretto giro la documentazione dello sfratto esecutivo, per queste entità lovecraftiane, che bisungono le pareti cerebrali e cardiache della parte democratica della nazione. Organizzerei in prima persona i torpedoni, mostrando a tutti l’alta qualità dell’inox delle pentole, con cui intraprendere un cacerolazo chiassosissimo. Se scrivo e dico queste cose, tuttavia, è perché sono disperato ed esasperato dalla solitudine collettiva in cui verso, insieme a migliaia di altre e altri dispersi e altrettanto disperati. Non è, questo, un esito secondario delle politiche del partito democratico di riferimento: si è perduto il tessuto sociale, sbrecciandolo in ogni modo, avvilendone le istanze più creative, sbregando le relazioni e le dialettiche. E non è soltanto responsabilità di Hieronymus Boschi o di Orfeo Mattini – è una disgregazione che abbiamo interiorizzato in tante e tanti, un intollerabile grado di separazione dall’altra e dall’altro, una polverizzazione del nostro stesso consenso. Basterebbe poco – una comunità on line, una manifestazione di riappropriazione, un’emissione pubblica dei valori di base, la pratica del discorso reinstallata nel reale. Se non accade tutto questo, aspettiamo la prossima e-letter del Nostro di Scandicci.

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