Oggi su “L’Espresso”, che si è imposto come il magazine più necessario e bello che c’è, appare una lettera aperta di Alessandro Bergonzoni: lettera aperta in quanto ogni lettera si spalanca, pratica l’apertura, trascende la lettera stessa e dilata la realtà. L’artista bolognese scardina il senso del pregresso e dell’abitudinario, l’inciviltà che commina lo stato di fermo, l’essere immobili di fronte al massacro mediterraneo. Si tratta di una risposta e di un approfondimento nel nome dell’appello lanciato (e raccolto) dallo scrittore Sandro Veronesi sul “Corriere”, qualche settimana fa: il discorso non basta più, il testo è morto se non mettiamo i nostri corpi sulle navi che salvano i diseredati nel Mare che non è Nostrum, ma è di chiunque. Bergonzoni, con questo messaggio in bottiglia inviato ai più e ai meno, si precisa come artista dell’oltranza, laddove questa oltranza è politica, è l’azione, il concreto prendere corpo del nostro corpo, che rinnova l’urlo “Save Our Souls”, con cui l’acronimo “SOS” ha finora sintetizzato una verità perenne e sempre da ripristinare: la salvezza, la salute, il soccorso richiedono qualcosa che vada oltre e si incarni, letteralmente, che ci muova e promuova, andando a stringere la mano a chi sta affogando, mettendo i corpi a contatto con i corpi, ridisegnando il fondamento civile in cui prosperiamo male, facendo deperire chi non ha diritto d’asilo e asilo del diritto. E’ un nuovo eterno soggetto dell’agire e del soffrire: non io, non tu, non noi, nemmeno loro: è “noiloro”. E questo soggetto di nuovo, sempiterno tipo si declina così, secondo quell’anomalia del teatro e della vita, che è Bergonzoni: “Fatemi pensare che l’allerta di indegnità e tortura di qualsiasi tipo abbia fine, non un fine; ma intanto, in questo maledetto frattempo, posso credere (tra il pregare, il meditare, il dimostrare e ogni tipo di umano dissentire) che spunti, come un barcone quasi a picco, un cambio di arti, una vera e propria rivoluzione corporale culturale, un diverso moto a luogo, e che possa nascere da ogni essere?”. E’ una domanda cruciale e chiunque è coinvolto nella risposta: si risponde diventando sponde, amando remando, ingraziandosi il fortunale e tendendo la mano, perché venga afferrata dalla celestialità che sappiamo di poter essere e che dobbiamo incarnare per diritto umano e distorto divino.