Oggi vorrei rendere riconoscimento a Wu Ming, per la chirurgica analisi e il lavoro culturale con cui ha identificato con largo anticipo snodi dell’orrore politico italiano attuale, mettendo a disposizione strumentazioni per smontare e discutere ciò che oggi inquietantemente accade. Credo sia il caso di soffermarsi sul valore della battaglia culturale, che è indistinguibile da quella politica, nell’attuale desolante orizzonte – e desolante è dire poco, perché siamo davanti a uno scenario in cui visceralità fasciste si applicano con scientezza e costanza a erodere l’istanza democratica, la quale è fragile se si svuota di sentimento popolare e di conoscenza del mondo, il che sta accadendo precisamente da mesi in Italia. Provo a metterla così: se osserviamo cosa gli orrendi governativi propalano e aggrediscono di giorno in giorno, osserveremo che lo scontro politico e il tentativo di riabilitare il reazionariato più esplicito, a danno di folle che si fanno menare per il naso e non verificano nulla e rispondono alle stimolazione della terapia elettroconvulsivante di massa praticata da chi oggi gestisce il potere italiano (dal governo e anche dai banchi dell’opposizione), incontriamo, così a caso, ma nemmeno poi troppo a caso, temi ed eventi che nelle ultime settimane identificano: l’explicit osceno della questione degli anni di piombo con l’ostensione di Cesare Battisti quale bestia da fiera; il vorticoso sciamare di falsificazioni e interpretazioni preconcette circa la sommossa popolare dei Gilet Gialli in Francia; le incredibili imprecisioni, le distorsioni da sistema spettacolare sulla questione della TAV, in cui dovrebbe suonare perlomeno sospetta la coincidenza tra le fole propugnate da Salvini e le posizioni tecnicamente eccepibili che il residuale del Partito Democratico abbraccia, facendo propria la piazza da colletti bianchi, guidata da madamìne torinese che, per loro stessa ammissione, non conoscono nello specifico il problema; l’emersione di un rigurgito nazionalista improprio sulle foibe, nel cosiddetto giorno del ricordo, con l’ex presidente del Senato che parla di massacri nel 1947 e un dibattito storiografico denegato per pure ragioni di “pacificazione nazionale” e “memoria condivisa”, che si reggono peraltro su falsificazioni non ignorabili; infine, la crociata contro Satana, comicamente condotta da Salvini, con tutta la sua truppa di cattolici tradizionalisti al limite del lefebvriano, per intestarsi il voto cattolico, con un semplicismo che lascerebbe attoniti, se non fosse il costume à la page oggi in questo Paese. Sul “caso Battisti” molto è stato detto, anche dal sottoscritto e da Wu Ming 1, in tempi che non si possono definire non sospetti, in quanto qualunque tempo italiano era è e sarà sospetto. Sulla questione Gilet Gialli, Wu Ming è la voce forse più autorevole ad avere identificato e divulgato la composizione plurima di quel movimento transalpino, che non è affatto identificabile con la destra, a differenza di quanto enuncia il mainstream, che si rifiuta come sempre di entrare nelle specificità del fenomeno da indagare e di riconoscere la complessità di un cosmo in movimento – e ciò non volendo significare che si tratta di un moto politico privo di ambiguità, anzi: bisogna proprio riconoscere tutte le componenti, per comprendere l’ambiguità generale. Sulla questione TAV, addirittura Wu Ming 1 ha pubblicato un intero e sconcertante libro, “Un viaggio che non promettiamo breve”, edito da Einaudi (downloadabile gratis qui), che in un contesto culturale normale e non italiano chiarirebbe molto su un problema che sembra inerente al trasporto e invece coinvolge il momento prettamente politico con cui un Paese autointerpreta se stesso e agisce di conseguenza. Sulle foibe, il collettivo Nicoletta Bourbaki e Wu Ming hanno prodotto talmente tanto materiale, contestando l’univocità dell’interpretazione di una storiografia al momento vincente, ma che mostra crepe da ogni parte e dovendo affrontare l’infamante accusa di negazionismo o revisionismo, quando proprio negazionismo e revisionismo sono gli obbiettivi di un dibattito da compiersi per la appropriarsi della storia storica di questa dissennata nazione; su Satana, satanismi, papé satàn vari, Wu Ming intervenne a proposito della vicenda dei Bambini di Satana e di Marco Dimitri, prima di essere elevato a protagonista nel caso di un’incredibile invenzione del complotto satanista in salsa nordamericana (il celebre caso QAnon), e fornendo negli anni un arsenale di conoscenze per comprendere mappe e dinamiche dell’utilizzo che si compie, sempre spettacolarmente, quando viene tirato in ballo il Grande Avversario. Da ciò si desume che Wu Ming si pone come soggetto culturale e politico attivo, capace di opporre conoscenza: sul terrorismo nei Settanta, su cui si è compiuta in queste settimane un’evidente spettacolarizzazione da parte di componenti chiaramente fasciste, a scapito dell’elaborazione collettiva, che ancora è da venire; sui Gilet Gialli, a proposito dei quali avanza il tentativo dell’estrema destra di eterodirigere, molto goffamente, un fenomeno vasto, complesso e contraddittorio; sulla questione TAV, dove parla la roboante voce del partito delle grandi opere, élite imprenditoriale in testa, che direbbe le stesse cose a proposito del ponte sullo Stretto di Messina; sulle foibe, dove la costituzione di un mito nazionalista di stampo fascista annulla la comprensione di quanto è avvenuto e invera un revisionismo violento e indiscusso; su Satana, che viene sbandierato quale nemico dei lepantisti salviniani. Direi che, comunque la si pensi in merito a tali questioni nodali, si deve riconoscere al collettivo Wu Ming di avere individuato, trattato e ribaltato, con precisione geometrica, la vita morente del paesaggio in cui il governo gialloverde, che personalmente considero una compagine di destra profonda, opera per avvizzire il rigoglio democratico. Sia dato merito di questo a Wu Ming.