Sulla proposta del voto per i sedicenni mi occorre sottolineare un aspetto specifico, che considero fondamentale. Si può dire tutto, si può decidere tutto, ma non è davvero possibile affermare che i *ragazzi di oggi* (questo meme in qualche modo spettacolare, che da una anno prima della mia nascita circola per il Paese e per il mondo) siano più informati di un tempo. A parte il delirio circa l’informazione, la quale viene propalata come elemento fondante una supposta maturità, mentre è il metabolismo a creare eventualmente le condizioni per una sia pur minima comprensione delle dinamiche reali – a parte questa cazzata nemmeno tanto furibonda, c’è poi il fatto che non è oggettivamente vero. Un giovane di media cultura scolastica oggi sa molto meno di un suo coetaneo dello stesso ceto cinquant’anni fa. Non vale tanto il sapere che è a disposizione: davvero evviva Wikipedia, davvero gratitudine infinita alla Rete. A creare il cortocircuito è la disabilitazione della domanda, attraverso l’enfasi a cui è stata sottoposta l’idea stessa di trauma. E’, questa, la storia dell’alienazione di massa negli ultimi decenni, che coincide con la vicenda della guerra all’intelligenza collettiva, che gli apparati statali hanno lanciato contro le comunità. A farne le spese sono stati i giovani, sempre meno inclini a ribadire con violenza il diritto collettivo al progetto, all’esperienza di senso. La soggettività abbisogna di conflitto e non di domande da rivolgere ad altre classi anagrafiche. Strappare con potenza se stessi dal mondo e nel mondo richiede una presa di contatto con se stessi individui e con se stessi collettività. Ciò non sta accadendo, a prescindere dalle recenti mobilitazioni in nome di una scienza che risolve il problema planetario. Non sto affermando che quella mobilitazione non sia benefica e occasione di uno scatenamento popolare decisivo. Affermo invece il contrario e cioè che il giovane, oggi, è sottoposto a un fuoco amico e nemico, a base di silenziamento implicito della domanda sul mondo, la quale non può essere che anarchica, intrusiva e sgradevole. In questo tempo possiamo osservare i due rovesci di quella medaglia che è l’onorificenza da apporre sul petto di una generazione: l’insurrezione a Hong Kong, ovvero la manifestazione più palese di cosa sia realmente l’assetto e la vocazione e la sconvolgente proposta della sinistra; e i ragazzi occidentali, che vanno in surminus di consapevolezza, esperienza e sapere collettivi, se stanno a quanto propina loro ciò che nuovamente possiamo additare come “sistema”. La circolazione media di conoscenza tra le fasce giovanili va di pari passo con il crollo delle soglie di attenzione a cui sono sottoposte – un dato sconvolgente, che testimonia di una modificazione neurale dei cervelli più freschi (se si è scettici a riguardo, si legga “Brainstorm: The Power and Purpose of the Teenage Brain” di Daniel J. Siegel, per rovesciare in azione politica la perplessità). Non c’è niente da insegnare ai giovani. Chi avesse in animo di esercitare nei loro confronti una pedagogia in merito al dominio dell’azione, non può permettersi di sfogliare o produrre alcun trattato sul saper vivere a uso delle giovani generazioni. E non può permettersi di concedere nulla che non sia stato non dico richiesto, perché la richiesta è l’inizio della fine della coscienza collettiva, ma preteso e strappato con violenza esercitata sulle cose e sul cielo. Tutto il resto è moralismo finzionalmente bonario e inaccettabile paternalismo, maternalismo, nell’epoca in cui non i giovani non sanno essere giovani, ma i padri e le madri non sanno essere padri e madri. La lotta di classe è lotta di classi anagrafiche da molto tempo e deve tornare a essere ciò che da sempre e per sempre è: lotta di classi esperienziali. Ho finito.