
Lungi da me immaginarmi come l’esperto letterario di alcunché, tanto meno del virus che sta piagando l’umanità su questa bollicina di terra commista ad acqua, sulla quale la specie secretoria ritiene tuttora di essere una modalità dell’onnipotenza. Fatto sta che un libro su lockdown e postumi del medesimo lo ho apparentemente scritto (si intitola “Reality. Cosa è successo”, lo ha pubblicato Rizzoli). Il libro è uscito a luglio, quando le vanoloquenti sottospecie della pavidità si erano tramutate in assicurazioni sulla morte: supposti luminari in sanità privata che dicevano essere clinicamente esaurito il Covid e necessarissimo riprendere a vivere normalmente, ovvero produttivamente, nell’indistinzione tra tempo libero e tempo schiavo, perché il Paese doveva correre; frange di parodie di Lefebvre e Himmler a manifestare con l’illuminante cartello vergato dallo slogan più tragicomico di sempre, ovvero “BASTA SCIENZA”; entrepreneur dall’inequivoco cipiglio lombrosiano e paraconfindustriale, come sempre con qualche piccolo fallimento alle spalle o davanti agli òmeri, a pigliare grano dallo Stato per potere licenziare meglio *dopo*, a reclamare che quel *dopo* era già lì, bello estivo e pronto a farsi autunnale; cazzate mediatiche, sorrisini opinionistici, congetture che sfumavano a fronte della drammatica sconfitta dell’Inter in finale di Europa League o discettavano che qui “non ce n’è di Còviddi!”; contro immaginari biopotentati, i complottisti colti, la cui patente di filosofi e letterati andrebbe messa al vaglio da anni e tanto più dopo una simile prova di meschineria piccina e arrogante; assalti alla diligenza politica, a colpi di 577 progetti surreali, per spartirsi il grano europeo del fondo ricoverativo, tra cui un memorabile acquario civico a Taranto per uscire dall’emergenza. Implicito, implicato e sempiternamente saccente, l’atteggiamento nazionalista italico, cioè un nazionalismo privo di nazione, secondo la cui vulgata saremmo stati i migliori, noi italiani, eravamo disciplinati, avevamo qualche migliaio di vittime meno dell’Inghilterra, che bravi!, 35mila se ne erano andati e manco una parola di pietà per i morti, manco una parola di orrore per i cadaveri, manco una parola di paura per le intubazioni e i caschi della subintensiva, manco una parola di rispetto per i malati, manco una parola di amore per chi aveva rischiato la vita in nome di Ippocrate e della cura e dell’umanità. Con insensato orgoglio per la frittura del nulla, tutti a spassarsela con l’orizzonte litoraneo. Chi avrebbe accusato le mancanze governative non ha agito collettivamente, protestando perché nulla si stava facendo, nulla si stava predisponendo, nulla si stava ragionevolmente prevedendo. Eppure i sintomi c’erano tutti, le diagnosi anche, i realisti pure. Nessuno spaccia il benvenuto all’inferno, che una popolazione greve si merita dopo questo festival della cazzata e della leggerezza e dell’empietà allegra. Però il sottotitolo del libro, di cui sopra, ovvero “Cosa è successo”, continua a essere perituro ma valido, si trasforma come un proteo, formula l’inesausta domanda, continua a radiare e a proporre *una* chiave di lettura, che è appunto la radiazione: irradia e commina la cacciata dall’albo delle carità più intense. “La realtà geme e si ribella da se stessa” ha scritto il pontefice cattolico nella sua recentissima enciclica, “Fratelli tutti”. Non l’umanità, non la natura: la realtà in toto. Sono lacrime delle cose e le cose umane toccano la mente. A me basterebbe sfiorarla, la mente, inocularvi il punto di domanda che sempre manca di esservi accluso.