E’ morto ieri il poeta e critico d’arte Ermanno Krumm. Era nato nel 1942. Esce in questi giorni in libreria, per i tipi de Lo Specchio di Mondadori, la sua ultima raccolta, Respiro. Aveva pubblicato con Einaudi tre importanti libri di poesia: Novecento, Felicità e Animali e uomini. Collaborava al Corriere della Sera, nella pagina culturale dedicata all’arte.
Conoscevo Ermanno Krumm da circa quindici anni. Da quasi un decennio abitava a trenta metri da casa mia e talvolta ci si trovava, più o meno casualmente, a fare colazione e a discutere. Era un intellettuale e un poeta di formazione tipicamente Sessanta/Settanta. Le sue stelle polari erano certo tipo di marxismo a-scientifico, il lacanismo mediato dalla Kristeva, la semiotica di Barthes. Una struttura formativa che, a mio parere, non si adattava più ai tempi – posizione, questa mia, che innescava lunghissime e indimenticabili conversazioni con quest’uomo dal cipiglio aristocratico, permaloso come solo certi splendidi viveur sanno essere. E’, in assoluto, dopo Antonio Porta, il poeta più concretamente vitalista che mi sia stato dato di conoscere, e per questo mi colpisce ancor più duramente la sua repentina dipartita. Era un fantastico “scapestrato”, come lo definisce oggi sul Corriere il suo migliore amico, Sebastiano Grasso, caposervizio della cultura che lo aveva fatto collaborare al quotidiano di via Solferino in un momento particolarmente duro dal punto di vista economico.
Era un poeta estremamente convinto dei propri versi, che si adirava in maniera formidabile se solo si cercava di mettere in dubbio quello che lui chiamava “l’impianto epistemiologico” da cui essi provenivano. Nonostante fosse un uomo di profondissima cultura e tenesse molto al guscio di saperi in cui le sue poesie andavano formandosi, la realtà è che era un poeta di estrema dolcezza, che sperimentava una tensione intima piuttosto formidabile tra la malinconia e la pressione vitale che esercitava su di lui l’anticipazione del futuro. I suoi versi sono una modulazione, come ha acutamente osservato Maurizio Cucchi, “turbata e serena” di un’osservazione condotta da un “paziente e acutissimo lettore della realtà”, capace di “un controllo linguistico eccellente”. In effetti Krumm era un’anomalia della poesia italiana formatasi nei Settanta e giunta a pubblicazione nel decennio successivo. Era un’anomalia perché la sua bildung era essenzialmente quella di un poeta dell’incomunicabilità o del post-sperimentalismo: de Saussure anzitutto, strutturalismo e post-strutturalismo, lacanismo, in prosa il nouveau roman, gli studi di antropologia – in pratica, l’armamentario che aveva condotto a esperimenti poetici che, lontani dall’orfismo, avevano comunque fatto dell’oscurità e del sisma linguistico la propria ragione d’essere. Al contrario Krumm, pur rimanendo fedele a una tradizione teorica così profondamente novecentesca (e non a caso Novecento è il titolo del suo primo libro einaudiano) cercava una comunicabilità e una medietà con l’andamento prosastico di marca eminentemente lombarda. Rispetto a questa categoria, egli si inalberava. Una volta, nel bar sotto casa nostra, si voltarono di scatto gli astanti perché questo strano personaggio, zazzeruto con le mollette all’orlo dei pantaloni per andare più comodo in bicicletta, si era messo a urlarmi: “Ma quale linea lombarda! Avete rotto i coglioni con la linea lombarda!”. Invece lo sapeva benissimo che era così: era una linea lombarda che si discostava dal sistema estetico enunciato da Anceschi, e che cercava il brillìo dell’universale nella ricognizione oggettuale, non crepuscolare e quindi fuori dell’ironia, fuori del feticismo. Krumm si iscriveva in questo senso in una linea poetica che tentava di mettere in rappresentazione la scaturigine dello stupore, della stupenda e sognante inermità dell’umano di fronte al mistero del mondo – mistero mondano e cosale, senza illusioni spiritualistiche di sorta.
Negli ultimi tempi, Krumm aveva furibondamente aggiornato la propria formazione. Il suo Animali e uomini nasceva da una compulsiva rilettura di Benjamin e da una sorta di ripensamento dell’allegorico e del mitico, condotta anche grazie all’incontro con il Blumenberg de L’elaborazione del mito, che interpretava quale rielaborazione dell’ultimo Freud. Una lettura, questa, non indenne dal rapporto con i testi teorici pubblicati sul Piccolo Hans, la rivista di psicoanalisi allargata diretta da Finzi, ma condotta direttamente sui testi del grande filosofo estetico tedesco. Il fascino che sortiva dalla poetica delle rovine, delle tracce, dei segni umani in fusione con la natura e la temporalità (fino alla quasi cancellazione), della presenza interrogante della vita animale quale alternativa (e pedagogia) all’umano, sembravano a Krumm dischiudere una possibilità di superamento del sistema semiotico su cui si era formato. Animali e uomini, in questo senso, costituiva una seconda giovinezza per questo autore che, con Le cahier de Monique Charmay, aveva esordito nel 1987, risultando da subito una voce originale nel nostro panorama poetico. Quel suo esordio nasceva dalla contraddizione, vissuta con totale adesione da questo uomo sfrenatamente umorale e gioiosamente flaneur. Monique Charmay era la sua donna, compagna di un mitologico periodo parigino con cui Ermanno aveva dato una distanza esistenziale pressoché irrecuperabile a tutti noi della generazione successiva. Quella compagna di vita – una vita dai contorni magici, una bohème irripetibile, fatta di baldorie e profondissimo studio – si era suicidata e la risposta di Ermanno era stata non unicamente emotiva, ma soprattutto letteraria. Questa fede nella cultura come mediazione tra uomo e natura rientra precisamente nei contorni di quella rinnovata ed esplosa linea lombarda a cui si accennava sopra.
Al di là del dato letterario, va dunque sottolineata l’immensità esistenziale di questa persona. Incedeva come una sorta di regale francese settecentesco. I suoi modi erano squisiti, un’eleganza quintessenziale del gesto, della voce e della postura che sorprendevano o, anche più spesso, irritavano. A me divertivano. Il suo sdegno nei confronti della mia generazione era condotto con la precisione e la crudeltà di uno chef giapponese che tagli raffinatamente pesce crudo e pretenda di convincere il pesce che è cosa buona e giusta essere squartati. Quando lo si incontrava, era una festa della caricatura e dell’improbabilità. Sembrava uno della cerchia di Baudelaire capitato in una inverosimile società postindustriale. Il suo spirito era aristocratico, provocatorio, asetticamente cruento ma empatico, e soprattutto travolgentemente umoristico. Impossibile non ridere, con lui. Amava il cibo d’eccellenza, il vino sopraffino e le donne. Dedicava alla mia frigidità erotico-sentimentale lunghe e imbarazzanti digressioni, mentre bevevo il cappuccino. Era al tempo stesso curioso dell’innovazione e misoneista. Davanti ai suoi interminabili tè tardomatuttini, ho subìto reprimende per conto di tutta Internet.
Il ricordo più bello risale a una sera di anni fa. Krumm teneva, con uno stile di presentazione fuori dal tempo, una trasmissione televisiva allucinatoria, dedicata alla letteratura, in una emittente locale lombarda, nel Varesotto. Invita a una puntata Giuseppe Pontiggia e me, per parlare de Il profitto domestico di Antonio Riccardi (perché non aveva invitato direttamente Antonio Riccardi?). La trasmissione è un puro delirio. Parliamo del libro di Riccardi per circa un’ora – un tempo che, secondo gli standard televisivi, equivale a un’era geologica. Poi si va a cena, con il presidente di un importante premio letterario di quella zona, il quale si porta dietro la figlia, non ancora diciottenne. Andiamo a mangiare in un ristorante eccelso, una location da Guinness. Io sono poverissimo e a disagio. Ermanno è poverissimo ma non è affatto a disagio. Per tutta la sera corteggia la figlia del tipo con modalità memorabilmente antologiche. Sorseggia vini di ogni tipo, commentandoli con una perizia da Baltasar Graciàn dell’etica culinaria. Chiosa ogni portata, si inventa legende barocche su ogni moule che ci venga servita. Ingaggia un duello cognitivo spettacolare con chef e addetto al tavolo. Per farsi bello con la ragazzina, alza i toni della sfida con il sommelier, arrivando a indicare la precisa locazione geografica del particolarissimo vigneto da cui è stato ottenuto un determinato e rarissimo Sauterne (“E’ prodotto dalla vite che sta nell’ansa di quel fiume o dal vigneto a quaranta metri più a monte?”). Il sommelier è sconcertato da una competenza tanto sbalorditiva. La ragazzina è in estasi. Peppo Pontiggia e sua moglie sono letteralmente incantati. Krumm descrive con precisione autoptica le dieci botti in cui viene barricato quel vino (“Adesso ne hanno aggiunta una nuova, ma il produttore non ne è pienamente soddisfatto, ha da ridire sulla qualità dei legni”). Quando ci portano il carrello dei formaggi, Ermanno, che ha mangiato l’equivalente del consumo alimentare di uno stato del Centrafrica, con mossa teatrale lo respinge: pretende che il carré dei formaggi a muffa blu sia diviso da quello dei prodotti a muffa arancione. Sconfortato, l’addetto al tavolo riporta indietro il carrello, costretto a dare ragione a quella sorta di Raspelli rinascimentale che è Krumm. Quando arriva il carrello diviso in muffa blu e muffa arancione, Ermanno inizia a fare esplodere varianze lessicali su ogni tipologia casearia. Appoggiando il gomito, ormai alterato dal profluvio alcolico a cui si è sottoposto, scivola e immerge la faccia nei formaggi. Il Peppo Pontiggia esplode in una risata pantagruelica, Krumm commenta che si tratta di una metafora del suo rapporto con la metrica.
E’ l’unico poeta al quale è stato possibile consigliare di leggere Pynchon senza che mi mandasse affanculo. Anzi. Stava ad ascoltare gli approssimativi tentativi di un ragazzino che cercava di teorizzare una osmosi tra poesia e prosa ben diversa dalla questione della prosa poetica impostata da Baudelaire, che era uno degli autori fondamentali per Krumm, insieme a Mandel’stam e Celan. Il rapporto intellettuale con la sua ex compagna Maria Rosa Mancuso, critica letteraria del Corsera, lo esponeva alla visione del panorama narrativo internazionale, compresi i generi thriller e noir, il che è davvero raro per un poeta.
La malattia ha còlto inaspettatamente Krumm al culmine della sua maturità poetica. Ha appena fatto in tempo a stringere tra le mani una copia di Respiro, il libro che Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, curatori dello Specchio, gli hanno pubblicato, realizzando un suo sogno. Ci teneva tantissimo a uscire per lo Specchio di Mondadori. Il suo ultimo Respiro è un libro in cui molto credeva. Me ne parlava, con entusiasmo, nemmeno un mese fa, davanti all’ennesimo cocktail. Mi farà impressione leggerlo. Mi fa impressione pensare di uscire di casa e di non incontrare più questo poeta ruvido e dolce.
Ti sia lieve la terra e il cielo, Ermanno.
Audio: Ermanno Krumm legge Baudelaire
In occasione della pubblicazione dei Fiori del male di Cahrles Baudelaire, nella traduzione di Antonio Prete, Ermanno Krumm ha partecipato a un reading di quei versi. Dal sito di Feltrinelli, la voce di Krumm legge La nostra bianca casa, fuori porta.
• ERMANNO KRUMM LEGGE BAUDELAIRE
Ermanno Krumm: poesie
SIETE COME GLI UCCELLI DEL CIELO
Non porta a nulla in poesia
cercare la poesia. Eppure
prima che non significhi più nulla
un qualche niente progredisce,
si fa spazio. Ora, le parti
sono maggiori del tutto
ma non c’è tutto in poesia
solo quanto basta perché batta
la lingua-mano nuove tenere parole,
piane e semplici. Così la scintilla,
che aggiungendo se stessa s’aggiunge
dove nulla accade o muta s’innalza
sul lieve tremolare delle onde.
***
PAESAGGIO
Due balze più sopra, il muro
è freddo e muto. In aria il fumo
si perde con il filo dei rami,
gli uccelli ruotano, appesi
dietro alla lama di un pesce.
Tutto si fa curvo, veloce come a Cagnes,
grandi tronchi imbandierano il vento,
e di quest’autoritratto come albero,
da cui ti scrivo, presto non si scorgerà
che il ripido pendio e nessun
osservatorio in bilico su una terrazzetta.
[da Felicità, 1998]
***
Un animale mi guarda,
uno specchio vivo, un punto
ancora netto in alto
la sua presenza,
tra sassi ed erbe il suo contorno
entra nella macchia
come la pallina nella buca del biliardo.
Non diversamente apparivano
e sparivano gli antichi dei
con imperturbabile naturalezza.
[da Animali e uomini, 2003]
***
Sparisce sott’acqua una folaga,
nuovi scogli affiorano con la bassa marea
e file di formiche continuano
il loro lavoro: passano i secoli
e sono sempre le stesse montagne
a gonfiarsi in oscurità e luce:
così deve averle viste
all’orizzonte tra le pareti del mare
scorgendole Ulisse, così ancora
nello spessore d’aria crepitando
stirano quella loro carcassa
di tufo color sassi e seppia.
[da Respiro, 2005]