IO HITLER sul Corriere della Sera

Il Corriere della Sera cartaceo ha dedicato sabato scorso mezza pagina all’azione di teatro musicale Io Hitler, con partitura di Filippo Del Corno, libretto del sottoscritto, regia teatrale di Francesco Frongia, attore Fulvio Pepe, per l’esecuzione dell’Ensamble Sentieri Selvaggi, direttore Carlo Boccadoro – che sarà rappresentata a Milano, al Teatro Franco Parenti (Sala Grande) nell’àmbito del festival MiTo il 9 e 10 settembre prossimi. In incipi, il trailer che Francesco Frongia ha realizzato. Qui sotto, cliccando l’immagine, la versione in pdf della pagina del quotidiano con l’articolo [176k]. In calce, la versione testuale del pezzo.

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Il debutto – L’opera di Filippo Del Corno dal libro di Genna
Sulle frequenze di Hitler la musica racconta il male
«Nei suoi discorsi il ritmo ipnotico di Wagner»
di GIUSEPPINA MANIN

Prove_Io_HitlerArtista fallito, prete mancato, mendican­te rancoroso. Crea­tura del male, figlio illegittimo di chissà quale pa­dre. Forse del diavolo. Un mo­stro della storia. O meglio, un uomo e basta. Uno come tanti. Perché, a ben guardarsi den­tro, ciascuno di noi potrebbe dire: «Io Hitler». «Un titolo che mi pare riassuma bene lo spirito di questa mia opera, ispirata alla figura più terribi­le e temibile del Novecento, ri­pensata però in quella quoti­diana banalità biologica che lo accomuna al resto del gene­re umano», spiega Filippo Del Corno, 39 anni, compositore milanese, già autore di un Or­feo a fumetti tratto da Buzzati e di un’opera sul rapimento di Moro, Non guardate al doma­ni.
Fondatore con Angelo Miotto e Carlo Boccadoro del­l’ensemble Sentieri Selvaggi per la diffusione della nuova musica, Del Corno presenterà con lo stesso Ensemble il 9 e il 10 settembre, in prima assolu­ta per MiTo, al Teatro Franco Parenti di Milano Io Hitler, azione di teatro musicale, re­gia di Francesco Frongia, con Fulvio Pepe a impersonare, con impressionante mimesi, Adolf prima che diventasse il Führer.
A cimentarsi nell’arduo li­bretto, Del Corno ha invitato lo scrittore Giuseppe Genna, autore di un’affascinante quanto monumentale Hitler (Mondadori), qui spinto a sof­fermarsi sugli anni che vanno dal 1905 al 1933, la lunga ge­nesi di un dittatore. «Hitler dai 16 fino ai 44 anni, da ragaz­zo a quando prese il potere — precisa Del Corno —. Un per­corso di formazione dramma­turgicamente scandito in ven­ti microscene, altrettanti epi­sodi di vita reale, allineati l’uno dopo l’altro come le me­tope di un frontone a dare una visione d’insieme del per­sonaggio ». Niente d’inventa­to, tutto reale, comprese gran parte delle parole pronunciate «tratte dagli originali di di­scorsi e lettere». Quel che ne esce, continua il compositore è un Hitler fuori dal mito: «Né un alieno psicopatico né un’icona pop di perversa fasci­nazione. Solo un uomo, re­sponsabile di una serie di cri­mini contro l’umanità».
A sorprendere è l’oscura partenza del giovane Adolf. Anni bui, di povertà e umilia­zioni. Genna li elenca senza mai tentare una qualsiasi giu­stificazione: «Le sue sconfitte scolastiche, bocciato due vol­te, due volte respinto all’Acca­demia di belle arti… Deluso, senza lavoro, finito per strada a chiedere l’elemosina, ospite di dormitori pubblici e mense di frati. Un perdente pieno di astio, deciso a scaricare le sue frustrazioni sugli altri. Su quel­li che, seguendo le teorie com­plottistiche e razziste in voga all’epoca, erano i responsabili della miseria e degrado suoi e della Germania: gli ebrei, i co­munisti, gli omosessuali, gli zingari, i disabili…».
Tutti trasformati in «nemi­ci », gente di serie B da ricaccia­re oltre i confini o peggio. «Una chiusura all’empatia, un riaffermare nazionalismi e lo­calismi tragicamente tornati in voga in questi orrendi mesi italiani — avverte Genna —. Le leggi contro i migranti, i barconi ricacciati in mare, le aggressioni ai gay, tutto fa pensare che l’Hitler che è in noi non sia morto. Questa è un’opera politica, che pone do­mande e costringe a sporgerci su quel vuoto morale e ideale che sta pericolosamente tor­nando ».
Ma come accade che certe idee, così assurde e ripugnan­ti, prendano piede in certi mo­menti storici, magari proprio in Paesi culle di grandi civiltà? «La grande intuizione di Hit­ler fu di usare la retorica del linguaggio e la potenza dei media — spiega Del Corno —. Del cinema nascente, con Leni Riefensthal regista del nazi­smo. Della radio e della tv. Ascoltando le registrazioni dei suoi comizi si ha la sensa­zione di assistere a rappresen­tazioni teatrali. Di un attore enfatico ma di carisma innega­bile. Usando la tecnica dello ‘speech musicale’ già adotta­ta da Steve Reich, ho trascritto musicalmente le frequenze di quei discorsi, gli alti e i bassi, i ritmi e le pause. Ho scoperto che Hitler usava delle costanti molto precise: parlava secon­do una scala cromatica discen­dente, mentre il ritmo evoca­va quello ipnotico delle incudi­ni dell’Oro del Reno wagneria­no ». Tradotto in partitura — strumenti un clarinetto basso, un trombone, due pianoforti, due violoncelli, una marimba — l’effetto è quello di un’os­sessione nera, tutta virata sui toni gravi. «Come di una musi­ca ascoltata sott’acqua», sug­gerisce Del Corno. «Una musi­ca che ti entra dentro, dalle parti del plesso solare, e va a smuovere qualcosa di molto perturbante» assicura Fulvio Pepe. Per un attore impersona­re Hitler è una sfida e un ri­schio non da poco. «Non oc­corre essere un assassino per interpretarlo — scherza —. Pe­rò quel che mi ha sorpreso è l’accorgersi che non c’è nulla di ‘disumano’ in lui. Che le emozioni e le energie che l’hanno spinto in quella dire­zione ci appartengono. Più volte, con terrore, ho scoperto di essere d’accordo con lui. Lui è in noi. Il male è sempre in agguato».

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