L’uscita della raccolta di racconti L’angelo Esmeralda di Don DeLillo (Einaudi, 19 euro, traduzione di Federica Aceto) consegna una galassia di fantasmi a un lettore che, a mio modo di vedere, è il lettore di questo tempo, se questo tempo ancora mantenesse in vigore il canone di lettura. Si tratta evidentemente di predilezioni personali, quanto a poetiche e stile, se a me pare di affrontare (in continuità con Body art, Cosmopolis e Punto Omega, mentre L’uomo che cade è a mio avviso un libro di passaggio e fondamentalmente un fallimento) un testo decisivo in cui gli spettri umani parlano senza dire o dicendo troppo, mentre lo spessore psicologico ed esistenziale va riducendosi a sfondo della scena, elemento invalicabile però arretrato per fare sbalzare altro. Cosa sia questo “altro” ho tentato in maniera idiosincratica di spiegarlo affrontando il tema del Personaggio Vuoto (un saggio in quattro tappe qui raggiungibili). Responsabile di un’autentica tradizione che va da Melville a James alla grande poesia americana (Wallace Stevens su tutti, mi pare), DeLillo include in questa linea la letteratura di Virginia Woolf e di tutta la famiglia che tende alla metafisica narrativa, che in Franz Kafka ha il suo insuperabile modello. Come in Kafka, “L’angelo Esmeralda” presenta spunti e brani che finiranno per contribuire alla genesi o al metabolismo narrativo delle grandi opere pubblicate dall’autore italoamericano. Il fatto che siano pezzi composti in un lungo arco di tempo mi pare costringere il lettore ad attribuire al tempo stesso un valore differente da quello della semplice storicizzazione: c’è una coerenza, una cifra che supera lo scorrere degli anni e costituisce una prova ulteriore della metatemporalità compositiva, la quale sarà più da osservare in termini evolutivi interni all’opera che in scansioni storiche collocabili con precisione. Non mi soffermerei sulla natura limbica dei personaggi e dei dialoghi di DeLillo, che sfiorano il giro filosofico di un pensiero che annulla le proprie possibilità linguistiche – rimango invece alle reazioni che si sono date all’uscita del libro in America e all’apparizione ancora priva di traduzione, riprendendo un bell’articolo di Roberto Bertinetti, apparso sul Messaggero a fornire un bilancio sulla raccolta che era ancora scevro dalle categorie prettamente italiane: una ricezione nuda ed esplorativa dei racconti di Don DeLillo. [gg]
DeLillo e quell’oscuro senso di fatalità
Esce la prima raccolta di racconti
Lo scrittore americano torna al tema del destino
di ROBERTO BERTINETTI | da Il Messaggero, 14 Novembre 2011
Si intitola «The Angel Esmeralda» la prima raccolta di racconti pubblicata da Don DeLillo, apparsa venerdì scorso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Lo scrittore americano ha deciso di riunire nove vicende composte tra il 1979 e il 2011: alcune erano giù uscite su piccole riviste, altre sono inedite.
Per ragioni che John Banville sul Financial Times ha definito «incomprensibili ai comuni mortali, forse esoteriche», il volume è composto da tre parti: due storie nella prima, tre nella seconda, quattro nella terza. Non ci sono, comunque, suddivisioni di ordine cronologico oppure tematico e DeLillo non offre alcun indizio sui motivi della scelta. Il tratto comune è costituito dallo stile: ancora una volta dominano l’influenza del «nouveau roman» francese e l’estetica del postmoderno, movimento di cui DeLillo è uno dei padri fondatori nell’ambito della narrativa di lingua inglese.
I temi affrontati in «The Angel Esmeralda» sono ben Uno dei racconti («Midnight in Dostoevskij») sembra una sorta di manifesto estetico, prezioso per far luce sull’idea di letteratura cara a DeLillo. Il personaggio principale è un docente di logica che nel corso di una lezione spiega agli studenti: «Tutto quello che accade ha un senso, ma nonostante gli sforzi di centinaia di filosofi nel corso dei secoli non siamo ancora riusciti ad afferrare il bandolo della matassa della vita». Parole che ricordano quelle pronunciate dallo scrittore dopo l’uscita del suo romanzo «L’uomo che cade», in cui trovava spazio la tragedia dell’11 settembre: «Ho voluto raccontare al mondo una favola triste – disse allora – per dar conto della fragile precarietà che ci tormenta e del nostro disperato, ma testardo, tentativo di costruirci un’identità solida a dispetto del disordine che ci circonda».
I racconti di «The Angel Esmeralda», hanno sottolineato i critici statunitensi e britannici, offrono un’ottima sintesi della narrativa di DeLillo: ogni vicenda ha origine da un evento di portata storica di cui vengono esaminate le ricadute nel quotidiano, illuminando così i destini di uomini e donne che al lettore offrono, attraverso i loro gesti e le loro idee, la chiave per provare a comprendere il senso complessivo di una caotica contemporaneità.
Non mancano, poi, riferimenti alla matematica, disciplina da sempre cara a DeLillo e al centro di «La stella di Ratner», un romanzo del 1976 da poco tradotto per la prima volta in Italia (Einaudi, 479 pagine, 24 euro). In questo libro Billy Twillig, genio precoce capace di vincere un Nobel ad appena quattordici anni, viene rapito da agenti di un paese non precisato e condotto in una località asiatica senza nome per decifrare un mistero: il significato di un segnale radio inviato da una lontana stella che si chiama, appunto, Ratner. E’ possibile che i numeri del segnale celino un messaggio inviato da un’intelligenza aliena che desidera un contatto? E, in caso di risposta positiva, come inviare una replica comprensibile?
Una chiave per comprendere il libro ci viene offerta da un discorso di Henrik Endor, uno dei maggiori scienziati viventi che incontra Billy dopo aver fallito nel tentativo di decifrare l’enigma. «La matematica – gli spiega – è l’unica forma di avanguardia rimanente nell’intera provincia delle arti. E’ arte pura, ragazzo. Arte, scienza e linguaggio insieme. Perse le sue ali dopo la scomparsa dei babilonesi. Ma emerse di nuovo con i greci. Andò giù nell’età oscura. Musulmani e indù la fecero andare avanti. E ora, per fortuna, è tornata più luminosa che mai». Portare la matematica in letteratura e viceversa: è questo l’intento di DeLillo, una scommessa difficile e rischiosa che tuttavia riesce a vincere in virtù di una straordinaria abilità tecnica. Che poi quella privilegiata da DeLillo sia la strategia migliore per riassumere le paure dell’America di oggi, o abbia invece ragione Jonathan Franzen quando in «Le correzioni» e in «Libertà» dilata invece di distillare è solo una questione di gusti letterari. Ma è a queste opere che occorre guardare per capire le cause della fragorosa rivoluzione antropologica, sociale e politica di un paese che, precisa De Lillo, «ha perso la capacità di immaginare il futuro e subisce le conseguenze di un’eccessiva fiducia riposta nella tecnologia e nel capitalismo».