“E’ la crisi dell’editoria, baby” dice lo stolto. “E’ il mercato che va a zero, zuccherino” dico io. Ieri mi è accaduto questo, tra le molte altre cose: mi telefona il più profondo e bravo tra gli attori italiani, di prima mattina, e si parla; salgo in casa editrice e parliamo di Zanzotto e Fortini e Sereni e Leopardi con uno dei massimi critici del secondo Novento italiano, da cui viene illustrata una soppressione indebita di un fondamentale deittico in un testo centrale nella poesia dello scorso secolo, ad ascoltare c’è uno scrittore che mi impressiona di giorno in giorno, poi parleranno di Lacan; mi reco a parlare per un’ora e venticinque minuti con la mente informatica più brillante e profonda di Italia, che è molto preoccupata dai segnali di riduzionismo ormai imperante e manifesta l’esigenza di un ritorno alla filosofia concreta dei presocratici, mentre viene illustrato il lavoro più recente sulla telepatia e crolla la internet of things; rispondo a messaggi di uno strepitoso esperto di “Don Quixote”; rispondo a uno dei cinque migliori scrittori italiani; con un autore ci mettiamo a confrontare un testo impressionante in “Tersa morte” di Mario Benedetti con la testualità “altra” di Milo De Angelis; alla Casa della Cultura volo a fine pomeriggio per assistere alla celebrazione del genetliaco di uno dei massimi fenomenologi del Novecento, insieme a uno scrittore che stimo assai e col quale parliamo della prassi metafisica e del suo nuovo libro; con quello scrittore andiamo in un posto dove ti vendono un cocktail a 3.200 euro perché dentro c’è un piccolo diamante che resta a chi quell’intruglio prestigioso consuma e ivi si appalesa un editore storico e importante del comparto italiano. Poi sono tornato nella casa, mentre fuori infuriava la fine dell’editoria e l’estinzione dell’umanismo e il collasso della cultura.