August 29, 2015 at 09:23PM


Sono andato alla festa de l’Unità. Nazionale. A Milano. Ci sono rimasto un quarto d’ora. Adesso dico tutto a tutti.
Nessuno, nemmeno Gilgamesh, sta solo quanto me. Allora sono uscito con il motorino che tossicchia, grigio con lo smog sopra, dentro nel caldo, sopra la pietraia di caldana e gomma d’asfalto nella Milano, verso i giardini di Indro Montanelli che è e rimane e resterà sempre: i giardini di Porta Venezia a Milano. Eccezionale. Allora lì dietro, via Palestro, una volta, 1988, c’era, era l’ultimo anno al liceo Berchet, una festa strana di CL di strani comici dilettanteschi, stile fare ridere quando sei cattolico, impossibile, ma loro credevano di farlo e, siccome è maoismo di CL, tutti ridevano e ci credevano, di ridere, poi finivano a fare un cabaret ridicolo, ma non del ridere, nella televisione di Italia1 per via degli amici del padre di lui. Poi c’erano libri a poco prezzo e pochi dolci, alimentari. Ecco: c’era più gente allora, rispetto allo spostamento del festival rionale de l’Unità di Monluè che hanno spostato ai giardini di porta Venezia e sarebbe pure nazionale. Avevo 16 anni al festival nazionale del Pci, quel partito vero, serio, parco Sempione, 1986. Lavoravo allo stand algerino con dei pellami di concia davanti allo stand nordcoreano, dove avevano una vipera dentro una bottiglia con dentro la grappa. Giocavo a scacchi e vendevo 500 lire il bicchiere di carta con dentro il vino rosso algerino che serviva a tagliare quello francese, dicevano così, insieme con un dattero, abbiamo fatto i soldi quella volta. Giorni e giorni con mio padre che minacciava di ospitare dei compagni della Bulgaria dello stand bulgaro e io non li volevo nella casa. Tu ti aggiravi per i mesi nell’ovunque del parco di milioni di persone affaticate nella polvere sopra l’erba del ghiaino con la polvere, non c’erano i bonghi, incredibile, milioni e milioni compagni con i baffi, essenzialmente ammirati da Zoff, sterminatamente nei milioni di metri quadri di un’esposizione internazionale del comunismo nei suoi prodotti, etnici. C’era Natta, uno voleva morire. Moriva, infatti. Risulta infatti che sono morto allora se, stasera, 2015, mi aggiro tra venti stand tra centocinquanta persone che sembrano, anche le donne, Alessandro Natta e mangiano il pesce di qui allo stand del Folletto, pazzesco sponsor che ti piglio a calci nel culo da qui a Segrate, te e l’aspirapolvere, zio cane. Allora la fila alla Piadina Romagnola Vera IGP, ma non è vera, loro sono romagnoli ma lei no, è una piadina anonima di chiunque al PAM, e nella fila di dodici persone irritanti, con la signora che odia lo squaquerone e allora la mozzarella, con l’uomo di sessantacinquenne che vuole sedurla, incredibile, sto in questa fila e aspetto. Alle spalle mi urta con lo smartphone un’americana che sembra un’alga adriatica con un fidanzato che sembra Larry Bird dei Boston Celtic quando ero giovane, la finale con i Los Angeles Lakers, il primo superbowl, con un nuovo esperto giovane che disossa le gerarchie dei commentatori nel calcio, innovando gli schemi, scientifico. Tu aspetti dieci minuti e ti danno la piadina più magra con un salame piacentino DOP fatto di alghe rosse e mou di carne, poi vai a vedere il palco principale, nei cartelli ovunque che dicono “deputatiPD” e “senatoriPD” con delle formule ottimistiche di quello che hanno fatto, nel verde, nel viola, nel verdino-rosso. Tutto è un’esclamazione di SI’ ma non è vero, è finta. Dentro il palco in mezzo c’è Bobo Maroni, stile strano elfo nano di giardino con del verde dell’annaffiatoio nella cravatta e le strane labbra di cerniera di carne, liquide di una verminagione apparentemente innocente, fatte di pelle di un divano allegro, e tace sorridendo con un pizzo tozzo, molto, stile D’Artagnan ma quando è in fiera un suo sosia quasi nano, tozzo, con questo microfono solitario nelle mani, nella solitudine intensa di cinquanta persone che lo guardano, non di più, massimo cinquantuno, teh. Accanto c’è incredibile siciliano stile pupi con pennacchi, ma senza il pennacchio, sul carretto colorato di argenti finti e lane giallorosse, uno che sembra Ariosto e è il segretario nazionale di tale UIL, una volta c’era Ciccio Benvenuto ai tempi della Triade, trimurti, quand’erano divise, c’era Carniti, Lama, tipo un Berlinguer più esteso, con la pipa, lo picchiavano sempre i facinorosi all’università a Bologna. Bene. Parlano delle finte province, burocrazie. Fanno e disfano delle parole in aria, con un aereoplanino di carta di quadernone a quadretti di un bambino tra l’erba che lo lancia, quel bambino ero io nel 1976 quando c’era il partito comunista e tornavo a casa dentro un bar di cinesi dove Mihailovic sudava in una camicia bianca di un aziendale ai lati dello stadio, sulla fascia contro l’Empoli.
PS. Nella foto è Bussolati, uno del segretario cittadino, se lo becco, gli dico come si fa.

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