November 04, 2015 at 09:42PM

Allora verso le otto e mezzo esco e vado. Mi trascino nel dolore di strane gonadi varicocele, stile la punizione di calcio dei bambini quando colpisce testicolarmente, che da tre giorni mi perseguita facendomi male, cammino male, stile uno che è stato sessualmente stimolato e non ha mai raggiunto l’orgasmo, non lo raggiunge, in un boudoir a Halloween per tantissimo tempo a vuoto oppure in una partita di calcio adulto stando a vedere Inter-Roma nel Sant Siro, con quelle sedie di fòrmica di plastica rosse e bianche, fatte così. Allora vado all’Antica Pizzeria di Milano viale Bligny, dove ti friggono la pizza in enormi tegli, che prende in numero di otto quello che è in fila per il taglio prima di te e tu devi aspettare tantissimo che la rifanno. Allora mi siedo, così non è taglio. Tutto è occupato, tranne un tavolino nell’angolo zenitale estremo nord che dà verso il Duomo, dove è il tavolino fatto di una fòrmica bianca con le gambe verdi plastica, con delle righe stile meridiani e paralleli verdi, tipo tovagliolo enorme fatto di fòrmica e tu stai lì ad aspettare. Le camerire sono sorelle diversissime che soffrono, gli avventori si fa fatica a scriverli perché c’è la finestra di “chat disattivata”, quindi devo scrollare. Mi mettono davanti a un tavolo dove c’è un signore anziano di composizione bosìna stile Carate Brianza, con la moglie vestita di camicetta che si alza il colletto inamidato a mostrare dei gioielli dentro, nel collo, e una vecchia in mezzo tutta compìta di tradizioni nobiliari della Brianza stile Credito Cooperativo Banco di Desio, quelli importanti della Brianza, con accanto un bambino fatto di wurstel con un ciuffo di pelo liscio enorme sulla testa e lo sguardo di una fessura avvenuta sulla sua faccia per troppa carne, che sta lì. Arrivano due, sono svedesi, sono amici di Andrea, che è il fratello sconosciuto del bambone e figlio del caratese e della inamidata dei gioielli e nipote della vecchia con la faccia striminzita in un nonsoché di rame paiolo crogiulo dello stizzirsi per delle cose borghesi dei nobili stile Parini ma adesso e negli anni Ottanta. Questi svedesi, che sono svedesi, parlano malissimo inglese con il padre di Carate Brianza, del figlio Andrea prodigio che deve arrivare, della Bocconi o giù di lì, di un lavoro che fai i soldi. Tutti in questo tavolo fanno i soldi e una volta pensavano l’Ecu ma hanno fatto l’euro, c’era la Ceca e il Mec, adesso no. Parlano di cani in un giardino con gli svedesi, con le donne che non sanno l’inglese e guardano il padre con il golf bluette che parla caratese in inglese. Si dicono delle cose del guadagnare e dei project manager. Poi è di clamore di tutti nei volti accesi rubicondi di essere qui nella pizzeria rustica inadatta a ospitare che arriva uno uguale a Alain Elkann e vestito come Alain Elkann, è della Bocconi. E’ un professore importantissimo che si è laurato Andrea e lo protegge, con un tablet di show e presentazioni di Power Point ma non lo accende e parla con il rotacismo biascicando, stile nobiluomo gentlemen della Firenze inglese, con quel rossore screpolato tipico della pelle quando essa va in tv e tu la vedi dal vero, senza cerone, nello studio de La7. Ha i capelli ramati di paiolo fatto di mogano, in un imbarazzo celibe con il vestito Gigli e la mano franca, ha le lunette delle unghie: la perfezione. Questa manicure esprime una franchezza disadattata nell’imbarazzo di essere qui nel luogo popolare, scambiato per una cena di affari e gli svedesi, che sono pelati annuiscono per dire quando arriva Andrea e infatti arriva. Egli è un toro di una monta nana, venuto male con il ciuffone di suo fratello, si comporta come a casa sua, nel Brianteo, facendo lo spiritoso ai danni della clientela con gli svedesi, battendo la pacca sulla spalla del gentiluomo fiorentino che insegna come un inglese alla Bocconi e poi dà un finto pugnetto alla mascella al padre dicendo: “Pa’!”. Si siedono mentre hanno ordinato un prosecchino, c’è una bottiglia, la stappa Andrea, festeggiando che fanno i nuovi uffici e nuovi project, manager. Molti soldi ancora. Più in là esiste un sosia di lou Reed vestito come Lou Reed, con questo cappello nero tipico di Lou Reed quando fa nei video quei concerti stanchi e sconclusionati, vestito così. Con quegli occhi di bovino rettile enorme schiocca le labbra in una smorfia di dire che vuole scopare una delle cameriere, sorelle, che soffrono. La pizza è più fritta, la mangio digitando, dentro il cellulare. Aspetto le notifiche, non arrivano, stile sadomaso che proprio te lo cerchi, visto che non arrivano le modifiche. Intanto Magurno posta Mineo e nella televisione tengono a Salah, che è egiziano e segna al Bayer, LeverKusen però, senza la “n” dell’altro. Tutti sono felici di stringere nella masticazione l’olio fritto della pizza cotta male che fa la gomma nella pasta e la mozzarella spessa, per cui è buona, è nota. Esco e Lou reed mi guarda, mentre Andrea ordina un bicchiere unico con due coche, zero.
Vado al bar e i cinesi servono l’amaretto di Saronno a svedesi, altri, una famiglia di due gemelle svedesi.
Quanta carne mi tocca ancora?
Dove andare è stato che io andavo io, in qualità di io, non era più: mi porto sempre appresso il luogo.
Scellerato è insistere su di me in perdono per non averlo.
La mente fa il giro intorno scondinzolando alle gambe di Se Stessa e sta mai ferma, mai da Se Stessa allontanandosi da sola la mente randagia è così stata canina, indissoluta.
Dissolte ore, addio sorelle.
Fermo nel centro dello sguardo vitreo è il vetro del vedere.
Milano si capovolge come un continente ad altezza sterno.
Schermarsi in una pena è stare indietro a sé, a stessi.
Incedo nella morte prenotturna, sono io.

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