Oggi è l’ultimo giorno del Bar Picchio in via Ripamonti al Vigentino sotto la gestione di Giovanni. Mi si spalanca un lutto devastante. E’ il mio bar. Lì ci faccio la colazione, non mi spaccano le gonadi, mi lasciano stare, mi coccolano dicendo sesquipedalità. E’ uno dei pozzi artesiani, naturalmente effluenti, uno degli acquiferi a cui vado attingere la realtà. Sto lì, mangio la girella con le uvette, prima mangiavo la brioche con la marmellata che non si capisce se è di pesca o albicocca. Tu stai lì, leggi il giornale e, se uno stronzo ti ruba il giornale, arriva Giovanni con un’altra copia di giornale, che ha rubato al portinaio Leo, il quale arriva e ti prende il suo giornale: poi litigano, tipo sulla Juve o sulle tasse. Giovanni è sempre sul punto di alzare le mani, soprattutto la domenica, con quelli che fanno le ricariche o i “mao-mao” che cagano la minchia. Ha sempre ragione e però esagera sempre. La sua voce è una specie di tsunami di spilli, di un urlo libiconapoletano arcaico degli anni fine Settanta inizio Ottanta, con un maglione che cambia poco: il maglione è grigio chiaro, stile un armatore di Brest o della Normandia, la maglietta è nera, a volte apre una porta misteriosa con delle scale che portano a un ammezzato, va a cambiare la maglietta, a volte dorme lì un attimo, lì sopra c’è il computer con la rete, fa delle ricerche, soprattutto su degli alberghi del litorale adriatico per delle vacanze che non fa mai. E’ di Napoli ma è di Calvairate. E’ cresciuto in via degli Etruschi dove sono cresciuto io, il numero accanto a dove abitavo io, nelle case popolari, con sua mamma separata da suo papà, sua mamma sembra un soldato prussiano di Napoli che cucina benissimo, dei fritti, li devasta nelle feste comandate, mi piace come fuma, tutta concentrata, e è bionda inaspettatamente. Giovanni ha la moglie Manuela che litiga anche lei, le fanno girare le palle perché arrivano invorniti alla cassa e non capiscono i resti, chiedono cose assurde. Non so come facciano a sopportare uno, Ciro, che ha ottant’anni e sta lì tutto il giorno su un trespolo a guardare il lotto in una televisione fatta tipo un computer, con estrazioni del lotto ogni cinque minuti che iddio manda in terra, va lì, scommette, vuole lo scontrino, poi ti presenta lo scontrino, ha vinto due euro, lo devi pagare: sta lì tutto il sacrosanto giorno, è incredibile. Giovanni ti dà la brioche, prendendola con la mano dopo che ha dato la mano in bocca a un cane che lo aspetta per avere in bocca un pezzo di pane che Giovanni taglia con la stessa mano e glielo dà e il cane è contento. E’ un cane triste e afflitto, non si sa per via dell’età o del padrone, il quale non mi pare esaltante. Giovanni è pure stato sulle Iene, lo hanno usato per una candid camera e lui stava alzando le mani sul serio, quelli delle Iene non hanno capito che era la prima e unica volta che hanno rischiato sul serio nella loro carriera e poi la carriera la facevano con i punti di invalidità che gli dava la ASL. A Giovanni sta sul cazzo qualunque premier, qualunque presidente della Repubblica. Prima che ci fosse il movimento cinquestelle c’era Giovanni e ci sarà anche dopo che i cinquestelle saranno scomparsi dalla faccia della terra. Perché quella di Giovanni è una saggezza antica, sgamata, realistica, una lezione che ti commina il mondo, una fame e una sete ataviche, una furbizia scontata per noi che crescemmo nelle periferie milanesi in quegli anni. Siamo feroci e teneri come certe leonesse spelacchiate che però mollale. Sappiamo come si occupa abusivamente un alloggio Aler, quanto costa, chi si deve sentire, come fare. Sappiamo chi commercia in una cosa e chi in un’altra. Sappiamo i prezzi e facciamo leggenda. Fumiamo molto. Nelle mattine uggiose con la nebbia di amianto siamo noi a inumidire la nebbia, la respiriamo a pieni polmoni tossendo con il catarro. Ci vengono le malattie, gli incidenti. Ci rialziamo con una clavicola rotta a porcodio eccetera e smadonniamo perché i ghisa non sono usciti. Scopriamo persone morte in casa. Giovanni ha scoperto il cadavere del parrucchiere Mario, non interveniva nessuno, allora è andato con degli zoccoli tipo Scholl’s sul cornicione e si è intrufolato nell’appartamento e c’era Mario stecchito sul letto. Viene da piangere, come viene alle persone buone. Ci infiliamo in certi giri. Ci sono fatturazioni, bolle, arriva un prestanome. Ogni sindaco di Milano è uno stronzo. Sappiamo cosa fanno con le macchinette. Guardiamo le partite e le commentiamo il giorno dopo. La televisione va sempre. Giovanni soffre di caldo in un clima siberiano, la moglie Manuela soffre di freddo a maggio e si incazza perché lui spegne il riscaldamento, con l’aria condizionata calda più flebile che sia stata mai prodotta da Daikin. Da anni cerca di vendere il locale e, ecco, ci è riuscito. Oggi chiude, sta chiuso una settimana, poi arrivano dei cinesi, non mi piace perché non è più Calvairate e non so più dove andare a leggere il giornale, forse al Lounge da Nico, ma è troppo lontano, però vediamo. Forse Giovanni e la sua famiglia vanno via dall’Italia, ma secondo me non è vero. Grandissimo Giovanni: desidero che tu diventi miliardario con un locale alle Canarie e mi chiami lì a fare un’estate gratis, questo è il mio sogno. Ci vediamo dopo per l’ultima birra, che io non bevo, mi sa un succo di pomodoro condito, però senza tobasco, con quelle strane fette di pane con una mortadella spessa dove finisce la polpa tritata di tutti i maiali radioattivi.