NEL TUO PICCOLO OTTAVO ANNO O PICCOLA
Dove ti vedo io so che sei che sei stata e so di vedere
niente, dolcissimo niente, che sei figlia di niente a congiungere
niente, a niente: una arancia con foglie giada a un cotto siciliano
unita con un corale dei morti
che sono io
di salmo in salmo
roca la squilla
incerta sale
della voce che si fa formando, dolcissima figlia: piangi.
E si rià la luce alla ciliegia andando
da una ciliegia che pare dal parapetto
cadere a essere luce a essere
schiacciata se salti con la scarpina correttiva
di pozzanghera in pozzo, artesiano, a inzaccherare
l’esistenza di tutte noi, o figlia.
Non ho una parola a celebrarti una.
Quanto avverto di te in me è tutto, è una.
Sinuosamente dormi ora nei due anni sei anni fa andando
a un cane che carezzavi in sogno e dicevi: “Questo è il padre mio
e soltanto mio. E’ tanto. Mio padre cade
di cavallo, agitato, goffo. Vedo scritto ‘coffin’
in una scatola dove lo mettono
gli altri bimbi. Io sono questo.” dicevi, o figlia
e perla e lepre
e luna e luna
e luna, e lieve
e astronomia e morso tra mela e forsizia
tra le forsizie di via Sirte.
E salti nell’acqua e schiocchi
e la grattuggia fa la mela e mangi
i formaggi fusi no e fai le facce
a un niente che non esiste
alla teologia trami i tranelli e
birichina rientri a dormire di argento e la gente è buona.
Miri il mondo, è buono, è vero e vai.