La Grande Paura: Corrado e i Kraftwerk

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Tra il 1976 e il 1979 mi spaventai immensamente. In quel di “Domenica in”, il rauco Corrado Mantoni, vestito esattamente come mio padre quando andava in ufficio all’assessorato Personale del Comune di Milano, apparve accompagnandosi con un bastone misterioso nero con una tacca di argento, che praticava il mesmerismo puro potente via tubo catodico, un po’ come la lavagna di Tony Binarelli che era una “quarta dimensione”. Avrei superato quel vago Edipo vestiario à la Facis, ce l’avrei fatta. Ma Corrado si intratteneva con dei manichini che nemmeno la Standa o la Gamma presentavano nelle pose della plastica artistica dei posti dedicati all’acquisto poche volte, pochissime volte per via dei soldi che non c’erano, ma non importava, le lire. Manichini seduti tra il pubblico, in prima fila. Le corde vocali con i misteriosi detti “polipi” di Corrado, che veniva chiamato solo Corrado e basta, vibravano onde sonore dissonanti, non estatiche, dodecafonia, un concetto di occupazione della mente nell’infanzia. Egli dialogava con l’inorganico. Stava dialogando con degli inorganici! Questi manichini erano il tremendo infatti. Erano lì, come sempre è lì l’infatti. Erano vestiti in camicie rosse di nazismo comunismo con degli Anni Venti dentro, con questa cravatta nera terribile di nazismo della DDR di Honecker, i pantaloni grigi dei funzionari di sempre di qualunque burocrazia da “Metropolis” all’assessorato Personale del Comune di Milano. Inoltre non c’era accanto a me mia sorella al televisore, che smorzava le cose. Avevo paura. Corrado li trattava da viventi, ma loro erano distratti, erano concentratissimi in modo assoluto a guardare in direzione di loro stessi viventi, in forma vivente pronti a suonare davanti a loro e a Corrado, viventi e vestiti uguale, stesse camicie tremende del costruttivismo sovietico e molto cerone, molta biacca nella faccia delle labbra sottili naziste con un rossetto adatto ai maschi. Andava avanti all’infinito. Poi non suonarono: facevano rumori di sintesi pazzeschi, pre-robot di Actarus pochi anni dopo. Il tutto nella luce gialla tipica di “Domenica in” e di mio padre, lo abbiamo vestito così quando è morto, erano i Kraftwerk.

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