Nel tempo vuoto occidentale

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Questa immagine ha un senso. E’ stata scattata in casa editrice, cioè a il Saggiatore. Sono alla mia postazione e alle spalle ho la mappa dell’editoria ad altezza 2012. Oggi tale mappa è mutata in modo radicale e direi quasi spaventoso. La contrazione del mercato e della significatività della costellazione editoriale è spaventosa senza quasi. Esiste un sentimento del mondo per cui l’insidioso consiste nello sfioramento del letale, ma il letale divora l’aleatorio, quindi l’insidioso è direttamente il letale. Questo pessimismo della ragione e delle volontà, per natura mia, non mi appartiene, ma ritengo che in questo caso valga la pena di incarnarlo: osservando. I miserrimi spostamenti di posizione, le microspettacolarità, i crani imbottiti di quel feltro che è il buio e mossi da quella elettricità che è la malasorte, le incompetenze, le rarità mostruose da museificare, le accidie e le parvenze dei parvenu, le ostinazioni prive di merito e le stolidità declinate al guerresco, le foie e le fole, a mio avviso né modesto né immodesto, hanno in questo girone la loro più pura rappresentazione: dico il girone che conduce a lettura le scritture. Trovo francamente minoritarie le scritture che mi interessano – e questa non è una legge universale e necessaria. Penso da molto tempo questo: vivremo un tempo in cui saremo in grado di osservare ciò che ci ha immediatamente preceduto, sentenziando sulla sua fine e sulla sua inutilità storica, sulla mancanza di senso che ha prodotto e in cui è stato prodotto. Tale tempo è per me giunto. Non si tratta di varcare una soglia consimile a quelle che decennalmente mi è capitato di attraversare. Ho sempre nutrito il massimo rispetto per qualunque manifestazione umana, in nome della storicizzazione: è accaduto questo o quello perché queste e quelle erano le condizioni in cui si viveva. Non manifesto invece alcun rispetto per quanto è stato elaborato nella scrittura nazionale diciamo negli ultimi quarant’anni, fatta salva certa produzione poetica e pochissime prose, per lo più elaborate da miei coetanei. Non basta. Non manifesto alcun rispetto per l’azione culturale che in questo paese è stata mancata di essere svolta, da intellettuali e artisti che non hanno per nulla dimostrato di essere intellettuali e artisti, non meritando tale nomea, perché non hanno previsto e non si sono spesi per gli altri, non hanno sentito fraterni e sororali gli altri: hanno portato avanti al massimo un discorsetto, che serviva alle proprie istanze egoiche, tra l’altro garantite comunque dalla consistenza del momento storico in cui operavano. Vedere il tempo a venire non è obbligatorio, anche se si è intellettuali, ma ragionare sulla consistenza illusoria del troppo è necessario. Per ragionare sulla consistenza del proprio tempo bisogna essere più vasti del proprio tempo e, quindi, stare nell’aleatorio che il letale divora: fluttuare e compiere l’esperienza del nonsenso è l’unica condizione data per percepire il proprio tempo dall’esterno del proprio tempo. Nessuna postazione ideologica è garantita da un simile esercizio. E’ forse per tale motivo che l’artista, uno scricciolo destinato a quella fluttuazione nel vuoto, risulta spesso profetico o comunque anticipatore. Giocare con la storia è un fatto da bambini, quali si è, se si è artisti. Quando tuttavia manca addirittura la consistenza del fatto storico in sé, nel senso che è predeterminato da un elemento non umano, come accade oggi, momento in cui si vive l’accelerazione tecnologica con tutta la predeterminazione delle antropologie che ne deriva, ecco che quel vuoto si fa più minaccioso, si avverte di non avere più una casa in cui stare, nemmeno in affitto, e non c’è ostello che possa ospitare e non c’è un ponte sotto cui bivaccare la notte e non c’è asfalto su cui bruciare carte stracce e bottiglie di plastica e copertoni sbrecciati e non c’è il fiume in cui bagnarsi o suicidarsi e non c’è nemmeno la notte e il giorno – e dunque si sarebbe tutti artisti, perché quel vuoto identitario e storico è l’immediatezza, non è più una scelta, non è una destinalità individuale. Ho appena descritto l’occidente oggi. E’ dove sto. In un tempo di geolocalizzazioni non avete più mappe, editoriali o meno, ma non nel senso che potete tracciare una nuova mappa: non c’è più possibilità di mappa. Desumete voi: profetizzate.

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