L’ultimo rapporto Istat disegna la fine dell’Italia. Quasi l’80% dei miei connazionali è analfabeta, nel senso che non arriva alla comprensione di un testo di media difficoltà. Risulta che gli italiani, nella stragrande maggioranza, legge ma non capisce cosa sta leggendo, vede un video ma non riesce a interpretarlo, ascolta ma non capisce cosa gli si stia dicendo. Quella percentuale scandalosa è del tutto inconsapevole che la realtà non sia quella dell’incomprensione. Il 18,6% dei miei connazionali nel 2015 ha fatto questo: non ha comprato né letto un libro, non è andata al cinema o al teatro nemmeno una volta, non ha ascoltato un concerto che sia uno, non è nemmeno andata allo stadio o a ballare. Significa che viviamo in una nazione sottosviluppata, nemmeno più culturalmente, ma proprio relativamente alla vita vissuta. Mangiano e ci aggiungono consumi social e tv – ecco tutto. Nella graduatoria Ocse, per quanto concerne la qualità e la diffusione dell’educazione, siamo slittati al 34mo posto su 70. Tutto ciò è cominciato dalla riforma della scuola firmata da Luigi Berlinguer, durante il primo governo del centrosinistra, ed è stato coerentemente approfondito dalle riforme successive, quelle a firma Moratti e Gelmini. Non è prevedibile che la riforma, ironicamente e ossimoricamente detta “buona scuola”, di cui il firmatario è stato Matteo Renzi. L’emergenza centrale è l’educazione, ma sembra che non ci sia tempo per mettere mano, per fare sedimentare valori e saperi nell’attuale generazione in età scolastica, complice l’accelerazione tecnologica e il fronte continuativamente emergenziale in cui si esplica attualmente l’attività politica. Se ci aggiungiamo che l’intero sistema politico è stato mappato in 18.372 utenze intercettate ai massimi livelli istituzionali, abbiamo l’immagine di una nazione che si è addentrata nel cuore stesso di una trasformazione verso l’esausto, l’imbambolato, l’apolitico. Non c’è più poetica italiana, c’è solo un imbarazzante storytelling, che i due terzi della popolazione non riesce nemmeno a decifrare. In tutto questo, uno scrittore scrive un libro. Se ne traggano le ovvie conclusioni esistenziali. Questa fine non è apocalisse e non smetterà di finire tanto presto. La cifra italiana si mostra feroce e sempre più potente e istantanea, in coincidenza con l’accelerazione tecnologica e antropologica che coinvolge la vita umana sul pianeta Terra, ormai non più solo a occidente: persino la geografia è trascesa o stravolta. Non c’è da essere pessimisti, ma realisti e prepararsi adeguatamente alla battaglia più politica dei prossimi anni, quella che si gioca nell’accesso collettivo alle tecnologie e ai saperi. Fa specie e impressione che i miei coetanei non denuncino tale stato di cose, in cui sono travolte le legioni dei loro cuccioli d’uomo. L’inesistenza della base minima di tessuto collettivo dice che si è destinati a una minorità nel corso del combattimento che si sta inaugurando in questi anni: bisogna prendere atto di ciò ed essere inflessibili nel fare fronte ai tentativi di impoverire gli accessi a tecnologie e saperi. Già da oggi bisognerebbe inaugurare una rivoluzione scolastica – provateci, però, provate a intrattenere dei rapporti con i genitori di bambini e ragazzi che stanno andando a scuola in questi anni:provateci. Non so o non capisco cosa stiano facendo i movimenti, non dico i partiti, poiché i partiti vedo bene cosa stanno facendo. Da intellettuale, non smetterò di battermi per quello che ritengo il socialismo dell’era dell’accesso.
Buonanotte italiani, buonanotte bambini, fate ciao ciao all’uomo nero.