LA RISORSA UMANA
Distante la sponda, di provenienza, nero e vivo
il corso della fiumana, tu cadavere, o come tale,
ad attraversare la corrente del pensiero fisso.
Mura di case, ampie, in cemento ed egizia
la betoniera nell’infanzia
madre di tutti i diritti, e degli empiti,
è sempre stato precipizio vivere, madre,
poco amore, pochissimo amore
tra le cose ciniche e fitte
finché si arroventò: rovesciandosi.
Da un futuro mi provengono i volti, amari, gli empiti, le cose fitte
e di passato in passato sono stato erede di quanto bastava
e non basta più: evo per evo, e di volto in volto,
un adulto, visto di schiena, cammina, tra le tracce
in una svolta di città deserta
di città ebete
tra fogliame accartocciato in ruggine che brucia
nella pioggia che rende più deserta la pioggia
io, pronominale, tra ammoniaca e fremito,
privo di monili, di lavori, quasi Creso
non avesse nulla. Si fa portatore
di polline la natura
del polline. La terra è i mercati.
Compagni, dove siete? Dove andate, ignoti?
E’ caduto il diritto delle genti
in un disuso, dove piove, sterile sui terrapieni
tra Darsena e me, la risorsa umana:
era Milano un bilanciamento di dominazioni incomplete,
era Milano fisso stellare occhio serrato che spalanca dentro,
era dentro niente, io, me, uomo e prezzo,
salutavamo i nipoti sui prati dietro casa la vigilia assolata e i nuovi bambini,
i nuovi bambini stanno lavorando al guasto.
O dominazione!