Venerdì alle 19, a Torino presso il Teatro della Cavallerizza Reale, in un evento off del Salone, si presenterà con un happening crossmediale “La scomparsa di me” di Gianluigi Ricuperati, edito da Feltrinelli. E’ un “romanzo” che è un romanzo, ovvero è un oggetto narrativo, che ricorda la fisionomia del multiverso e, in effetti, con il multiverso ha a che fare, poiché protagonista è la mente post-mortem di un umano troppo umano, che si reincarna nella mente di persone che ha conosciuto in vita, una per ogni giorno per un anno all’incirca. Sarebbe dunque un oggetto narrativo cosmogonico, morale, teologico, esistenzialista, psicologico al limite dello psichiatrico – se non fosse che di fatto è un canto lirico, sorprendentemente coincidente con un’epica del nostro presente. Che un oggetto narrativo sia al tempo stesso lirico ed epico, canto e narrazione, dice che ci troviamo in presenza del tragico, erede dell’epica e bugliolo in cui la lirica viene elaborata, per essere tratta dalla mignatta in cui il sangue umano ribolliva e si purgava delle sue marcescenze. Ricuperati compie con sfrontata propensione all’assalto letterario questo passo, che considero abbastanza decisivo per una narrativa ad altezza di questo tempo complesso e accelerato sotto ogni punto di vista, dando vita a un crogiolo in cui possiamo ravvedere tutto, al di là di qualsiasi ansia di sistematizzazione saggistica e a riprova che esistono menti contemporanee non indifferenti allo sviluppo antropologico e tecnologico e, al contempo, al canone tradizionale. Il tempo, coerentemente, è qui ravvisato da un protagonista in postura bifrontale: il qui e ora che il narratore affronta, continuamente e inesaustamente, migrando di mente in mente, di corpo in corpo, costretto a comprendere dove, cioè in chi, si trova, avendo a disposizione le ore della veglia vissuta dalle persone all’interno delle quali si trova – questo eterno e dinamico presente è esso stesso bifronte, tenta di sintetizzare il passato e non smette di farsi domande sul futuro. La mente narratrice è spiazzata in un turbinio di materia senziente, che fa l’universo conosciuto e sconosciuto, in stato molecolare – ma non si tratta di molecolarità inerte, bensì di un discorso infinito, di un infinito intrattenimento, nel cuore e nella periferia di Maya, la grande illusione che è grande gioco, il maestro materno che ci insegna lo spettacolo della realtà che percepiamo in veglia e penetriamo quando mutiamo stato nel sogno e nel sonno senza sogni. La tramatura delle relazioni, intrattenute in vita dal protagonista, coincide con una revisione adrenalinicamente condotta sulla propria struttura psichica e morale. E’ un testo un po’ più che platonico, perché mostra una conoscenza approfondita delle più ardite metafisiche. Il libro si legge pop, sia chiaro: Ricuperati comprende alla perfezione che, ponendosi a un tale incrocio ontologico, lo stile va trasceso – è uno scrittore consapevole, in cerca dell’edenismo di una consapevolezza finalmente fallace, capace di sfuggire all’eterno discorso imbastito dalla mente dialettica e curiosa, e per realizzare questa impresa adotta un mélange tra lingua bassa e accelerazioni altostilistica: l’incipit recita testualmente “Eh? Chi è? Non ho fatto nulla”, cioè utilizza con sfrontatezza la lingua d’uso, per poi da subito ondulare lo stile, con virtuosi deplacément e utilizzo di rime interne e registri scientifici e appunto morali: “E’ stato come essere l’insieme dei calcoli che sottendono alla progettazione di un viaggio lunare, e insieme l’onda dell’atterraggio, il raggio di un destino fisico e cosmico, e una storia ben riuscita, mettere i piedi in un luogo eccellente, non meritando niente. Chiedo scusa”. Come detto, si può leggere come un romanzo pop ad altezza della nostra epoca nebulare. Si può, ma non si deve: Ricuperati ha ingaggiato un corpo a corpo con una visionarietà apparentemente mite e insidiosa, il che definisce il suo destino letterario: deve andare a sfondare ulteriormente il racconto, per uscire dall’infinita seduzione di cui siamo vittime tutti noi, ammaliati dal discorso e dal racconto, intossicati dalla curiosità che non lascia scampo. E’ un testo apparente e un testo segreto, “La scomparsa di me”, che ci lascia attoniti e prescrive di chiedere allo scrittore: chi è cosciente della scomparsa? Questo punto ultimo è esso stesso il destino, dello scrittore e dei lettori.