Nel 1969 io càpito su questo pianeta, piango perché ho fame, da subito, è un pianto inconsolabile, la montata lattea al seno di mia madre è un evento drammatico, io devo fare i conti con le fibrocisti e il latte in polvere mi viene inoculato immediatamente, mentre inizio a respirare senza sapere, le sacche polmonari aperte con lo schiocco dopo il parto, e respiro isotopi nell’aria dicembrina di Milano dove è esplosa a piazza Fontana la bomba.
Il bambino è un ente enorme, che si calcifica accumulando grassi polinsaturi, divora tutto, il suo sguardo divora gli spazi e la Micronite composta di plastiche industriali, il suo passo divora terra intrisa di piscio di cane nella sabbionaia di piazza Martini a Milano, divora l’affetto dei genitori finché non esiste più affetto e allora il bambino divora quanto non esiste.
Il pianeta è per me un fumo di petrolio nero emesso dalla Fiat dentro il quale c’è un morto, Enrico Mattei, da quello che dicono i genitori, commentando alla Radio che Luciano Lama è stato contestato. Si commenta intorno alla tavola in fòrmica, onde radio scuotono l’etere.
Io mi appendo nella disperazione al carrello del supermercato Pam dove mia madre mi porta a fare la spesa, tutto è freddo e la luce è un neon rifratto sulle piastrelle gialle, io attendo il momento in cui ci avviciniamo entusiasti alla confezione di vetro del formaggio Dover della Kraft. È un barattolo di vetro sotto vuoto spinto con un coperchio a strisce bianche e blu, che mantiene intatta una crema di formaggio come il mascarpone ma più simile al formaggio fuso dei Sofficini quando sono fritti, è migliore dello Jocca e anche del formaggio vero della Kraft, che è la caciottina Baika di una pubblicità. In questa pubblicità una famiglia vive su un parquet lucidissimo, il papà ha i baffi e la mamma ride inutilmente, e io vedo i due fratelli, fratello e sorella, aspettano che venga rotta la rete in polimeri che avvolge il formaggio, che è giallo e dolce e che tutti devono chiamare “la Caciottina”. Il formaggio Dover è superiore nella sua dolcezza cremosa, supera la marmellata essendo salato e formaggio, dunque un cibo più adulto, piccolissimi nella scritta della confezione i conservanti e i coloranti iniziano con la E- e mia mamma dice che arriva il cancro.
Infatti passano pochi mesi e di colpo i bambini vengono tutti informati che è stato ritirato dal commercio il prodotto buonissimo inusitato detto After-Eight, sfoglie di cioccolato ripiene di una crema alla menta che sa di dentifricio dolce: è stato deciso che arriva il cancro, a mangiare gli After-Eight. Chiunque dimentica gli After-Eight.
Il formaggio Dover scompare dagli scaffali del supermercato Pam, io protesto a grande voce con i miei genitori perché voglio quella crema di formaggio, mentre mia madre mi dà gli spaghetti con il Pomì dal tetrapak direttamente strizzato, sono gli spaghetti italiani con il sugo. Mangio la fettina di carne.
«Il bovino resterà nel box fino a sei mesi, cioè fino alla macellazione. Nutrito con latte in polvere ricostituito e privato di complesso B, senza foraggio (fino all’artrofia del rumine), beve acqua deferizzata addizionata con resine a scambio ionico e dolcificata. Queste pratiche servono a mantenere la carne bianca (poco nutriente) che sarà la ricercata fettina».
Marco Ferradini canta “Teorema” e tutti piangiamo perché chiunque è lasciato dalla propria fidanzata e l’amore non esiste, per riconquistare la fidanzata bisogna truccare e chiunque è incapace di essere granitico insenziente come ordina Marco Ferradini in “Teorema” e poi di colpo canta la sigla delle Sottilette Kraft, canta: «Sopra un piatto normale o su qualcosa di speciale, per tutti i tuoi pranzi da re o per la cena più veloce che c’è, Sottilette Kraft! Aggiungi colore come vuoi tu! Sottilette Kraft! Aggiungi sapore come sai tu! Con Sottilette Kraft», e si aggiunge una voce altra che dice sempre «Kraft, cose buone dal mondo» e assicura che vengono dall’Emmenthal di Baviera. Chiunque mangia i toast con le Sottilette Kraft.
Io cresco. Cresce il fondamento mobile. Chi sono io?
Quando cade il muro di Berlino, la voce che dice «Kraft, cose buone dal mondo» sponsorizza il formaggio Maman Luise e non c’è più paura degli isotopi radioattivi, perché non ci saranno più bombe atomiche. Tre anni prima non si potevano mangiare i funghi per anni, non si poteva prendere l’insalata a foglia larga, non si poteva mangiare il miele per un decennio perché una nuvola radioattiva da Chernobyl era arrivata per una fusione nucleare fino al Trentino, ma non era vero, ai miei genitori avevano detto che era arrivata anche a Milano e gli isotopi sarebbero stati sempre con noi, il cancro arrivava comunque, hanno rimesso in commercio gli After-Eight. Il cesio non decade finché io sono vivo.
Adesso, estate 2008, estraggo dal freezer il sorbetto di limone venduto nella bottiglia di vetro al Pam. Tutto è scaduto, nel freezer. Il sorbetto di limone è fatto di questo: acqua, zucchero, succo di limone doppio concentrato min. 8%, vodka, grassi vegetali idrogenati, destrosio, latte magro in polvere, proteine del latte, con stabilizzanti ed emulsionanti. Che sono: alginato di 1,2 propandiolo, gomma di guar, monogliceridi degli acidi grassi, sucresteri, aromi. Dentro gli aromi esiste tutta la natura sintetica petrolifera che tu sei incapace di immaginare e nominare. Mi ricordo, è simile agli ingredienti del formaggio Dover della Kraft, il formaggio Dover è dentro il sorbetto di limone. Esistono nel freezer anche i That’s Amore Findus, nome che viene da una canzone antica cantata da Perry Como, ed è impossibile stabilire quali siano gli ingredienti, dice solo che sono tranci di merluzzo pastellati surgelati.
Il pianeta ribalta l’asse magnetica. Il polo magnetico sud sarà il nord, il nord il sud, il sole sorgerà da ovest. Noi siamo la specie catastrofica e virale, che mangia la plastica ed eietta escrementi sperando che divengano compost per combustibili che ci spingeranno fino a Marte, dove la Nasa progetta di inviare in avanscoperta, entro il 2030, otto macachi, così come il primo essere vivente a superare l’atmosfera terrestre fu il cane Laika, che è il nome della sua specie ma è diventato il nome della cagnolina che, nel piccolo veicolo sovietico, mentre tutto tremava e la temperatura si innalzava divorando ossigeno, lappava da un piattino davanti a sé legata una gelatina ricolma di Lsd.
Otto macachi atterrano su Marte. Cosa hanno mangiato durante il viaggio? Come si sono comportati? Nell’assenza di gravità, si sono arrampicati dove? Dove è sopra e dove sotto? Indossano già i caschi e l’ossigeno per quando scenderanno sulla terra rossa che è uno strato di polvere che copre una melma solida di plastilina? Se hanno il casco, come si nutrono? E muoiono su Marte, per l’impossibile ritorno? I loro corpi putrefatti, i microrganismi della putrefazione colonizzano il pianeta? Fino all’arrivo dei sei uomini previsto per il 2035? Poi inizia il processo di “terraforming”, che prevede di inquinare Marte con ciminiere per produrre un effetto serra che crei l’atmosfera? Siamo la specie che respira inquinamento.
L’uomo è ciò che mangia. Ciò che mangia, mangia l’uomo.
Dice Catone nel De Agricoltura: «I cosci devono così essere salati nella botte o nel vaso. Prese le zampe, taglia le unghie; metti mezzo moggio di salgemma pestato in ciascun coscio. In fondo alla botte o al vaso spargi il sale, quindi posaci il coscio, la pelle rivolta all’ingiù, lo coprirai tutto di sale. Quindi poserai sopra un altro prosciutto, nello stesso modo lo coprirai, guarda che la carne non tocchi la carne. Così li coprirai tutti. Quando già tutti li avrai riuniti, metti sopra il sale, così che la carne ne sia coperta: pareggialo. Quando saranno stati cinque giorni nel sale li toglierai tutti con il loro sale, quelli che erano in alto li metterai in basso e allo stesso modo li coprirai di sale e li metterai a strati. Dopo dodici giorni togli i cosci e ripuliscili dal sale e per due giorni appendili all’aria. Il terzo giorno pulisci bene con una spugna, ungi di olio ed appendili ad affumicare. Il terzo giorno staccali, ungili bene di olio e aceto mescolati, e appendili nella dispensa della carne: non li toccheranno più né la muffa, né i vermi».
Così prosegue la storia dell’artificio: conserva, stipa, gusta.
Questo è il mio corpo: mangiàtene. Questo è il mio sangue: bevetene.
L’immane bocca dentuta, la masticazione invertita, l’immane bocca umana morde il pianeta, con le sue zanne di avorio accalcate, i tubi digerenti verticali si sono eretti e hanno incominciato ad acidificare il pianeta, gli apparati escretori guardano a Marte e vogliono mangiare sopra le pianure sterminate rosse colpite da meteoriti.
È stato divorato ogni affetto, tutto l’affetto disponibile, e allora divorano quanto non esiste, immaginano e divorano ogni immagine, e appena eretti, bipedi, ricoperti di peli spessi, si nutrivano mangiando la loro stessa carne, senza simboli a giustificare questo ruminare, solamente per nutrirsi, i figli dolci, la bianca carne dolce dei bambini, prima di conservare i cosci, prima di inserire E-132 nel latte delle vacche, prima di stipare creme nel vetro, prima di mutare tutto ciò che deve essere mutato poiché sono mutanti, i loro metabolismi esigono mutazione e piacere, fino alla fine dei loro giorni commestibili, fino alla scomparsa della specie – vento sacro solitario su Marte sopra carcasse in cancellazione, vento che sfalda le ossa e gli esoscheletri, vento polveroso e twister di sabbia rossa finché si allarga la stella centrale e lo sguardo trasparente immobile vede tutto e non prova desiderio alcuno di alimentarsi.
Giuseppe Genna
tratto da Slowfood, num 36 (ott 2008)