E’ abbastanza confortante che in questo Paese ci sia uno scrittore e intellettuale come Walter Siti, che aggredisce territori non banalmente estranei agli spiriti finzionalisti del nostro tempo. In “Pagare o non pagare”, colui che per molti è il migliore scrittore della nazione (io concordo con costoro) muove dal denaro per parlare di antropologia profonda e quindi anche di letteratura o, meglio, di canone storico, che è l’argomento centrale da affrontare in questo momento e in retroverso dello sviluppo accelerato, tecnologico o meno che sia. A Siti non interessa nessuna opzione metafisica, quindi lo sguardo è fisso non tanto nell’occhio della storia, quanto nello sguardo della storia: l’autore di “Troppi paradisi” dà del tu alla storia, non la corteggia e non ne riporta il danno in termini di lutto, ma definisce la morte del segno e del simbolo a partire dal progetto occidentale che, della storia, fa un orizzonte privo di teologia e di fede. Su questo libello parecchio acuto e disturbante segnalo un bell’intervento di Gianluca Catalfamo, pubblicato dal sempre benemerito illibraio.it.