L’altroieri ho vissuto un’esperienza del 1993. Sono infatti entrato in una libreria indipendente milanese, come nel 1993, girovagando tra banconi e scaffali, come nel 1993, abbandonandomi alla serendipità tra copertine e scelte del libraio, come nel 1993, trovando un libro di Franco Fortini su Kafka, come nel 1993, provando gioia intensa per la scoperta e l’acquisto, come nel 1993, riuscendo dalla libreria con un desiderio famelico di leggere pagine memorabili e trovando riprova dell’aspettativa, come nel 1993, poiché Fortini affronta Kafka attraverso incursioni e prospettive sconcertanti, come nel 1993, anche se gli interventi partono dal ’46 e si fanno via via più acuti, come nel 1993, una lettura lenta in cui il tempo mi si spalanca, come nel 1993, il sole riverbera sui germogli nel balcone, come nel 1993, non c’è smartphone né notifica che interrompa l’arco di attenzione e la maturazione del desiderio che si appaga con agio e sperpero di ore, come nel 1993, la più cristallina delle nozioni lanciate da Fortini è quella di leggere “Amerika” di Kafka come un radicamento nella storia di qualcosa che non è storico, come nel 1993, “questo ebreo di Praga” per Fortini è “il più importante scrittore degli ultimi trent’anni” e la “provincia umana” che “indaga entro le sue solitudini” è “atroce”, come nel 1993, e Kafka “combatte i draghi, come i santi” per sempre, come nel 1993, la letteratura esiste e il pensiero della letteratura esiste, come nel 1993, l’editoria è una forma di benevolenza del cruciale e del decisivo, come nel 1993, Fortini riverbera sui germogli Andrea Zanzotto e Milo De Angelis, come nel 1993, Franco Fortini il comunista è teologico su Kafka come György Lukács su Dostoevskij, come nel 1993 e, come nel 1993, io non finisco il libro anche se ci vorrebbero tre ore in tutto a esplorarlo compiutamente, come nel 1993 resto incompleto e non privo di una sensazione di colpa e di debito nei confronti delle madri e dei padri, come nel 1993 la sorella deve essere tutelata e la poesia sta per scomparire dai canoni e dalle percezioni e, come nel 1993, si prospetta la chance metafisica a cui la letteratura inevitabilmente rimandava, come nel 1993 la questione era dare addio alle care sorelle parole, come nel 1993 premeva la fine ovunque ed era soltanto l’inizio e, come nel 1993, venivano alla mente frammenti di versi e poesie che nessuno è interessato a leggere e io sono sempre un bambino traumatico che tremola e trama sopravvivenze immaginarie, come nel 1993 era da aprire “Novantatré” di Victor Hugo e rispondere alle ansie con uno stile che esorbitava l’altezza e si rendeva pesante per scontare la propria malagrazia, e tutto era come nel 1993 luce a lampi di buio e seppiato il tramonto incombeva per albe cieche e baci scialbi e tremuli e traumi, leggete Fortini, leggete Kafka, il titolo è “Capoversi su Kafka” e l’editore è Hacca e forniamo una giustificazione impossibile alle vite disperse come nel 1993 e sempre.