Lo stato dell’arte e dello stato

Avrei voluto intervenire nei discorsi che i miei amici hanno dedicato al discorso di Michele Serra circa i discorsi su scuola e bullismo. Discutevano tutti, in una nazione in cui le discussioni stanno a zero. Adesso, per l’appunto, intervengo, ma non per discutere. Mi limito a enunciare impressioni del tutto personali. Io penso che la cultura di questo Paese di merda, che i ceti hanno ridotto a un vespasiano nell’arco di decenni di purissima irresponsabilità, marchio di infamia effettiva e oggettivamente rilevabile sia per quanto concerne la classe politica sia per quanto riguarda il lumpen e il ceto medio, ma anche trasversalmente per quanto concerne le corporazioni professionali, dagli insegnanti ai medici ai legulei al terziario cosiddetto avanzato ai disoccupati ai managerini ai padroni imprenditori agli informatici ai giornalisti al comparto del fashion a quelli che hanno rilasciato l’emittenza pubblica e privata in àmbito radiotelevisivo agli industriali ai sindacalisti eccetera – io penso che la cultura di questo Paese di merda sia un’antropologia senza pari sul pianeta, con forti somiglianze all’inumanità evolutiva del Giappone, ovvero un canone tradizionale sfiguratissimo dalla fase più avanzata del capitalismo, che è la più mostruosa nella storia del capitalismo stesso. Qui l’antropologia è fottuta a priori, il vizio nazionale non è nemmeno più esecrabilmente emblematizzato dalle caricature di Alberto Sordi, ma incarnato direttamente in un agone privo di battaglia, in una palude mefitica in cui ogni aspetto della vita sociale è sottoposto a controllo iperpoliziesco e a un’indifferenza che nemmeno è complice, ma addirittura rappresenta il movente e l’assassino. Non è più questione di reducismi, che ancora mantenevano un’idea di storia nella follia deviata che manuteneva una memoria tossica e orribile, capace di distrarre dal qui e ora, ignorante dello slancio verso il futuro, che è un paradigma paterno e materno e fililale: è il luogo in cui il filiale è divenuto la filiale. Ci sono ragioni per l’appunto storiche, che spiegano come certe premesse, a cui si è dato corpo nei quadri decennali della seconda metà del Novecento, sono slittate verso esiti angoscianti, tutti da vivere o da nonvivere oggidì. Si potrebbero e dovrebbero scialare fiumi di inchiostro per *spiegare* questo processo storico e collettivo destinato a un’imbelle e inerte atomizzazione, che è la norma drammatica di questi tempi paraumani, ma a nessuna comunità interesserebbe un’opera di interpretazione della realtà, che sarebbe testuale: il testo è un interesse non più collettivo, ma *di nicchia*. Prima le nicchie, poi le molecole, infine gli atomi, che interpretano la fluttuazione come libertà, quando è proprio l’opposto: è proprio l’assenza di ogni libertà e la negazione del desiderio questo tipo di fluttuazione degli atomi sociali e degli individui, privi di qualunque psicologia disorientati senza sapere di esserlo. In ciò si inscrive il crollo dell’educazione, della sanità, del welfare, del momento politico, della progettualità, della produzione, dello spettacolo, del divertimento, di ogni modus operandi, di ogni geometria etica (non è un caso se uno dei fondatori dell’occidente, Baruch Spinoza, titolasse la sua “Ethica” non soltanto con il prezioso sostantivo, ma con la precisazione frastica “more geometrico demonstrata”: la morale è geometria, è il regime di uno spazio che ha le sue leggi costanti e inviolabili, che sono un culmine di creatività e non un’imposizione dall’alto di chissà quali comandamenti o di normatività ossificate di qualunque specie). All’interno di questo campo gravitazionale, che è l’Italia quale punta avanzata dell’occidente estremo, l’intelligenza delle nuove generazioni è andata passivizzandosi rispetto alla proposta tecnologica, adattandosi a un irrealismo acuto e vomitevole, perdendo le soglie di attenzione, rinunciando implicitamente alla possibilità più creativa che la collettività porta a maturazione ciclicamente, ovvero l’opzione rivoluzionaria. E’ davvero una legione di spiriti fantasmatici e disincarnati, sotto forte riduzione dell’apparato emotivo e dei recettori che elaborano le strategie di sopravvivenza. E’ stato distrutto un sistema educativo che propinava la conoscenza come strumento di appropriazione della realtà. Si sono realizzate, con un “et voilà” che lascia sconcertati gli animi meno candidi e più armati di storia e consapevolezza, le peggiori previsioni di chi gridava al nichilismo realizzato. Una sterminata armata fantasma, per dirla con il celebre titolo del romanzo scritto dal collettivo Wu Ming: fantasmi sotto ipnosi magnetista, in un rovesciamento dei potenziali rivoluzionari, a cui gli scrittori bolognesi inerivano. In questo movimento di disappropriazione di sé e delle libertà conquistate e sempre da conquistare, emerge un insieme ultracorporeo che preoccupa le psichiatrie operanti nella nazione, a cominciare dai neuropsichiatri infantili e agli psicologi della cosiddetta età evolutiva. Che le diagnosi di disturbo dell’apprendimento dominino incontrastate a partire dagli otto anni, è in questo Paese un costume dilagante – e ciò ha un’ovvia ricaduta politica. Il crollo della testualità e dell’ascensore sociale, che nemmeno arriva più ai piani bassi, è causa di una ricollocazione del soggetto, in una putrescenza dei diritti e dei saperi, che corrisponde all’inibizione di figure che sono state pensate come professionali, quando erano ben più che professionali, poiché erano e sono funzioni sociali – quella dell’insegnante e quella del medico, più che le altre. Secondo me questo è un Paese fottuto, privo di anima, privo di lingua e di concordia, il cuore arido è ai limiti dell’inesistenza e non soltanto del malfunzionamento. Una lezione di realtà sarebbe l’unica terapia plausibile per una collettività così disastrata, che nemmeno è ipotizzabile quale collettività. Le istituzioni sono pura dinamica, invece sono diventate sclerosi e poi hanno raggiunto lo stato limbico, potenzialità inespresse e prive di slancio utopico, mortificata ogni vivescenza e raggiunto uno stato di servitù che si contenta di quello che c’è, cogliendo un aspetto di immutabilità dello status quo, che è criminale e criminogeno. Ci credo che Mark Fisher, l’ammirevole diagnostico di “Realismo capitalista” va a suicidarsi. E ci si ferma a discettare se ci sono più bulli nei licei classici, che non sono più licei e non sono più classici, oppure nei professionali, che non sono più professionali, poiché le professioni stanno per estinguersi. E’ una macelleria sociale che meriterebbe una risposta popolare. Non si smette di proporla e praticarla, questa chance eminentemente politica. Però i recettori sono disattivati, questo mi pare incontestabile. Il pollice non è più opponibile. La repubblica dei sogni è degenerata in una demagogia degli incubi. Da resistenti, non si verrà mai meno all’irradiazione di cospicue dosi di realismo e di slancio – però non è questo il problema. Prenderei a ceffoni, i quali sono un accettabile antagonista al sonno della ragione e dell’irragione, tutti gli intellettuali e gli scrittori e gli artisti in genere, che ho ravveduto nel corso dei decenni non occuparsi se non dei testicoli: questa gente ha una responsabilità enorme nella realizzazione della landa devastata che viviamo in questa attualità aberrata. Posso anche concedere solidarietà al corpo insegnante, che in questa nazione è destinato alle pratiche più assurde, dalla risoluzione dei disturbi ossessivi compulsivi alla “gita per le strade di San Pietroburgo”, come denunciava il commentatore più reazionario d’Italia ieri sul Corriere della Sera. Vorrei anche comminare i calci nel culo più potenti alle natiche del medesimo corpo insegnante, incapace di opporsi collettivamente alle riforme scolastiche devastanti, elaborate e propalate nell’arco degli ultimi decenni italiani. Non avrò lo stile di Michele Serra, soltanto perché dispongo di più stili e tutti migliori di quello che Serra propina da anni in qualunque sede, cartacea o elettronica. Il punto fallace di ciò che ritiene essere una denuncia del divario di classe non è la questione politica della lotta, appunto di classe, ma quella di una supposta superiorità dei testi rispetto all’avvitamento delle brugole, attività che è un’arte, tanto quanto quella della scrittura – è un umanismo peloso e finzionale, dannosissimo e divisivo, orrendamente teso all’alienazione. Più Besta per tutti, verrebbe da dire. Più lavoro dei campi, agricoli o professionali non importa. Più re detronizzati. Più conflitto. Più desiderio. Infine estingueremo il tizzone ardente: su questo non c’è alcun dubbio: l’esito è metafisico, qualunque esito è la metafisica e non la storia – ma, se la storia non la si realizza, non c’è esito, bensì colpa e delitto. E’ primavera!: svegliatevi bambine.

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