“Capitano fragile”: il fenomeno che non è un fenomeno

C’è una dimenticanza, una disattenzione di massa, e dico non dei seguaci del fascismo collettivo ispirato a Salvini: quest’uomo di mezza età, paffuto e via via mascherato con felpe da mercato rionale e divise militaresche, è fragile perché banale, è debole perché portato in alto da uno stato di cose e non da una propria intelligenza. Non esiste alcun Salvini grande politico, come invece si affannano a enfatizzare i corsivisti e i mediatori mediatici – e dico coloro che sarebbero critici. Il ragazzotto nullafacente che partecipava a “Il pranzo è servito” nell’edizione condotta di Mengacci (nemmeno quella eroica di Corrado…) è privo di voli pindarici, sprovvisto di retoriche e acuzie dell’ingegno, un sottoprodotto degli anni Ottanta e della generazione-sandwich. La sua incapacità a comunicare, scambiata per una raffinatezza del tutto inesistente, mi fa venire in mente certi muri ciechi della Barona a Milano, certi triangoli di prato all’incrocio di tangenziale e Forlanini, certo kebab mangiato sotto un fungo per il riscaldamento d’inverno, certi panzerotti di Luini: una produzione di massa, cioè, del tutto coerente con le kilocalorie e i trigliceridi. Questa vulgata, dimentica della paciosità normodotata del Medesimo, si scorda che Salvini e i suoi collaboratori non sono cime (l’unica cima, a onor del vero, sarebbe Giorgetti: ma è proprio quello che come ministro per la scuola ha scelto il Bussetti, dimostrando assai poca lungimiranza), che la Lega non dispone della benché minima classe dirigente, che questi qua si schiantano contro i giovani e le donne. Per correggere il tiro, dunque, rimanderei alla fragilità del capitano (con la minuscola, che si fa maiuscola solo perché a inizio titolo), con cui Marco Damilano intercetta su L’Espresso la cifra grigia, fumigosamente spersa tra cassoela e possa Girella, di un fenomeno che non è un fenomeno.

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