Questa sera alle 21, alla libreria Verso, ho l’onore di discutere con Vanni Santoni del suo nuovo romanzo, “I fratelli Michelangelo”. Checosa è questo oggetto fraterno che ci viene offerto da una delle menti più vibratili e innovative della comunità letteraria italiana? E’ una summa, anzitutto, ma anche dopotutto, poiché la summa apre un discorso che prevede la propria fine, essendo una grande sintesi e rilanciandone i contenuti e le forme in un’avventura successiva. L’ultima delle cose che desidero dire intorno a questo libro è la descrizione che se ne trova in aletta, così come le informazioni spicce che riempiono normalmente metà degli articoli dedicati a un lavoro letterario. E’ necessario anzitutto affrontare Dostoevskij. Nel caso di questo masterwork di Santoni il ruolo del titolo è delicatissimo e si tratta della risoluzione davvero originale di un problema modale: confrontarsi col passato, mettendo in difficoltà il passato stesso. Se i Karamazov, a cui IFM rimanda nel titolo, fossero stati i fratelli Puškin, allora avremmo qualcosa di simile al tentativo che compie l’autore de “La stanza profonda” (un altro titolo perturbante, che non decresce nella sua attualità e potenza anche rispetto al nuovo testo, di cui costituisce una traiettoria tra le moltissime). Eppure è Michelangelo, non Alighieri: il passato viene utilizzato contro il passato, facendo schiantare Dostoevskij contro l’immanità del Buonarroti, artista diverso e probabilmente più vasto del grande padre russo del romanzo occidentale. La storia è un viaggio: sono molti viaggi. C’è la convocazione di un padre che è Zeus e Coglione al tempo stesso – un padre novecentesco, ma della seconda metà del Novecento. Egli emblematizza una storia, nazionale e non soltanto, a cui i suoi figli, segreti e non, furibondi e non, sono stati convocati di colpo, in un esercizio di confronto con il gigantismo. Che è lo stesso confronto che Vanni Santoni è chiamato a risolvere con un gigantismo parallelo e coincidente, ovvero la storia della lettertura: della *sua* letteratura, dei suoi canoni, dei balzi in avanti che ha osservato praticare in un agone artistico in cui si è formato, precocemente e avidamente. Ogni figlio costituisce una categoria dello spirito. Ogni figlio è narrato da o narra una costruzione storica della personalità. Ogni figlio rappresenta una mossa del contemporaneo. Ciò che fatalmente accade è che la rivoluzione antropologica con cui il mondo trascende le epoche, ovvero il complesso digitale e la psiche collettiva che ne deriva, avviene proprio all’interno della vicenda storica della “famiglia” Michelangelo. La variabile spirituale, così come quella materialistica, ottengono, in questo multitesto che è un ipertesto, la più cristallina e tormentata delle esposizioni narrative. E’ per me impossibile ritrovare, non dico in completezza, ma almeno in una forma accettabile, le tracce sotterranee e le chiavi che Santoni allestisce e seppellisce nel suo macrotesto: citazioni, easter eggs perfino, allusioni, rimandi. Del resto io non leggo in questo modo i testi, perché ragiono sui medesimi come assolutismI: e questo testo è un assolutismo. Il postmoderno viene divorato, esplicitamente, e non è più un modulo all’altezza dei tempi e della mente: si è postmodernizzato e poi è stato dimenticato – e tutto ciò in pochissimi anni. Venature horror (ancora: il perturbante), dispositivi biblici o provenienti dallo stile delle Antiche Scritture di ogni metafisica, improvvise evoluzioni in direzione Risi & Monicelli, una visionarietà che coniuga Cattelan a Richter, Balzac a Lynch, Gadda ad Ariosto – e così via pressoché all’infinito. La lingua di Santoni è congeniale a questo progetto di inabissamento nei saperi e nella vita, questi labirinti che potrebbero, come sempre hanno fatto, trovare un punto di incontro, se non una pacificazione, nel grande mistero della Biblioteca, luogo in cui i libri riposano o sono morti ma comunque attivabili, per costruire l’adeguata interfaccia rispetto alla realtà. Non è questa la sede per un’opera di rigore ermeneutico, su questa architettura narrativa e questa esecuzione sinfonica (à la Penderecki) – qui c’è spazio soltanto per un impressionismo, che risulta impressionato, a fronte dell’impressionante che Vanni Santoni, compositore e direttore d’orchestra e strumentista *e anche pubblico in sala*, ha realizzato con “I fratelli Michelangelo”. Leggetelo, seguitelo nelle sue evoluzioni dal vivo e in Rete, non perdete contatto con questo monstrum letterario.