Leggendo l’analisi di Paolo Mieli sull’egemonia Pd

Oggi sul “Corriere della Sera” l’ex direttore Paolo Mieli pubblica un’analisi sulla debolezza della proposta da parte di sinistra e centrosinistra attualmente rappresentati nei parlamenti, sia l’italiano sia l’europeo. C’è un discorso da fare, intorno alla abituale centralità di quel repertorio di voti che è stato e sta continuando a essere il Partito Democratico. Giovedì, a PiazzaPulita, il fu padre nobile del Pd, Romano Prodi, ha testualmente asserito che la formazione dem “non è più il partito dei ricchi”. Bisogna intendere bene, dico filologicamente, ciò che Prodi intende e, a mio umillimo parere, sta intendendo questo: il Pd è il partito dei ricchi. Nessuno aveva mai estratto una simile definizione su una formazione che ha progressivamente tradito gli ideali di una sinistra governativa, a cui nessuno chiede di essere una lista di quella arcobaleno, ma che ha comunque perpetrato politiche devastanti e un abbattimento del comparto identitario, e dunque popolare, da cui veniva o pretendeva di venire, sintetizzando i portati sociali e storici sia dell’esperienza comunista e postcomunista sia di quella cattolica illuminata. Il Pd attualmente sta dimostrando che una sorta di mélange tra vecchissima classe dirigente e nessuna novità autentica, in un contesto di pura idraulica politica, mercè il progressivo collasso dei Cinque Stelle, porta la formazione di csx un poco sopra il 20%. E questo sembra non dico bastare ai dirigenti piddini, ma addirittura pare euforizzarli. La questione del ritorno al governo del Paese è distante anni luce rispetto a questo orizzonte. Cosa deve dunque accadere? Il Partito Democratico può salire al secondo posto tra le liste più votate alle europee, ma proseguirà nell’impossibilità di sciogliere il nodo identitario e la relazione con le molte persone che non intendono tornare a votarlo – senza dire di quelle che non hanno mai avuto intenzione di sceglierlo e a cui nessuno è andato a recapitare una proposta di valori (al massimo, gli si è fatta giungere un telegramma a timbro neoliberista, confidando nella disastrosa prospettiva che si disse Terza Via – il faccione che si deve avere in mente in questo caso è quello di Matteo Renzi). La mitografia implicita, coltivata soltanto dalle classi dirigenti di questo partito sull’orlo dell’esaurimento della propria autosufficienza, davvero, è l’egemonia a sinistra. Questa vocazione maggioritaria è una delle più devastanti ipotesi lanciate dalle storiche dirigenze della Cosona di centrosinistra. La propalò Walter Veltroni – e continua a propalarla. Sostiene Paolo Mieli che devono sorgere due soggetti politici, uno a destra e uno a sinistra del Pd. Ciò determinerebbe la fine di questa follia, che è stata l’autosufficienza su cui hanno contato tutti i segretari e i quadri dello partitone. Io non concordo con Paolo Mieli, ma soltanto perché penso che si debba andare a un soggetto di natura modalità e persone davvero diverse. E’ una sfida complessa, anzitutto perché è una sfida della complessità, ovvero la cifra autentica del tempo che viviamo. Va ridefinita la rappresentanza, la delega, il rapporto tra leadership e collettività, in una concretezza virtuosa del discorso. Non credo che si tratti di aspettare Godot. Credo che Godot sia arrivato, sia già tra noi. Sono un osservatore, a volte anche privilegiato, e a questo sto. Il passaggio storico è complicato e serve un’inventiva enorme, una capacità di prassi altrettanto enorme, un’intensa capacità di coniugare coraggio e rischio, calma e accelerazione, processo e contenuto.
Si vede l’alba, non è quella dorata. E’ luminosa.