Renzi e Grillo. Manca Bisaglia

Se si dovesse effettuare una valutazione politica in senso tecnico, come strategia che si declina in tattiche, e quindi prescindendo da qualunque valore, secondo i modi del risiko che sempre si porta dietro un sistema prevalentemente proporzionale, questa crisi, che ritengo sia la più drammatica dai tempi del grande dissesto nel biennio 1992-94, ha due vincitori e un ovvio sconfitto. Quest’ultimo, facciamo così: nemmeno lo stiamo a nominare. Se hai a disposizione un fine testa politica e decidi di non ascoltarla, per rivolgerti a un odontoiatra bergamasco, hai commesso un errore che dice molto di te, della tua psicologia, della tua anagrafe e del tuo midollo spinale. Dopo non avere nominato, ecco i nomi, quelli dei vincitori, che hanno preso la Jacuzia e la Kamchatka. Essi vivono e sono Matteo Renzi e Beppe Grillo. L’opportunismo non coincide quasi mai con l’opportunità, ma in questo caso all’ex leader PD sono riuscite queste mistiche nozze. A Matteo, corrisponde Matteo, come del resto aveva copertinato L’Espresso tre numeri fa: tanto spazio lascia il teterrimo Matteo, quanto ne prende il Matteo ridens. Dal punto di vista del tempo, della velocità di esecuzione, della capacità progettuale e del sistema coordinato tra cause ed effetti, c’è un unico responsabile per il fatto che Salvini non sia più ministro dell’Interno: è Matteo Renzi. Il risultato non minimo, bensì massimo, davvero, era questo e resto sconcertato quando misuro che molte persone sottovalutino questo fattore, non più K ma M. Levare quel ministero a Quello Lì era e rimane essenziale, perché l’abnorme gonfiamento in termini di consenso, che non è riuscito a gestire né a comprendere in profondità, nasce anche dall’esposizione che il tizio è riuscito a dare alla sua proposta, più linguistica che valoriale. Matteo Renzi ha fatto qualcosa, quindi non è più quello del referendum, delle dimissioni, del 18%, delle ulteriori dimissioni. E’ un refresh, un restart, qualcosa che pertiene un motore, un pc, l’alito cattivo – è questo l’elemento politico meno spurio, il più rilevantemente visionabile, anche se non del tutto visibile. L’altro personaggio, che sale sul podio più ambiguo della fase più ambigua nella storia della più ambigua tra le Repubbliche, è Beppe Grillo. Se non si saldava l’asse Renzi-Grillo, non si aveva questo risultato. Il comico genovese ci ha messo del genio: ha puntato tutto sull’uomo a cui ne aveva dette di cotte e di crude mentre gli stringeva la mano a Palazzo Chigi – qualcosa di fisico, non soltanto discorso. Grillo posiziona il M5S sul Pd, realizzando un suo proprio antico sogno e scommettendo sulla possibile creazione di un soggetto che scardini definitivamente la storia secolare di un partito a cui ha guardato nella sua vita con malcelata propensione alla critica per amore deluso e non corrisposto. Ma Grillo non guardava al Pci, guardava ad altro. Ora si propone una possibilità che ci dice a tutti gli effetti quanto siamo poco distanti dal 1992. E’ il sogno della Casa Comune, per come la enunciò Claudio Martelli. Con l’operazione compiuta su 5S e Pd, Grillo occupa uno spazio in cui Renzi non riesce a entrare e che, nel caso, deve violentemente occupare, schierando i carrarmatini viola al confine. Se il progetto Grillo fosse realistico, non dico realizzabile, Renzi non ha più spazio, è la fine di Renzi. Viceversa, Renzi ha spazio, addirittura può andare a riprendersi l’antica creatura che lo ha creato, anziché pompare adrenalina in un cadavere. Cosa manca a tutto questo scenario? Mancano Giovanni Galloni, Antonio Bisaglia e Mariano Rumor – e coloro che potevano votarli.

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