Lo sfondo dello sfondo nel nuovo libro: Grotowski

grotowski.jpgIl nuovo romanzo, come affermato nel corso delle meditazioni scritte che costituiscono questa officina d’artigianato intellettuale, impedisce ogni finzione (o distorsione finzionale), e tenta una desclerotizzazione dei protocolli di genere, delle poetiche, degli stilemi che, a contatto con la realtà (interiore e storica) vengono bruciati dalla materia e dalla Cosa che ha agito su quella materia. Non è un caso se non esiste finora un romanzo su questa Cosa: dato sorprendente, ma non per chi si impegni in un severo studio della Cosa e mediti a fondo la difficoltà di rappresentarla. x.jpgE’ dunque soprattutto l’intenzione silenziosa a muovere ciò che poi saranno le retoriche: le retoriche, davanti alla Cosa, che è una Cosa che ha utilizzato la retorica come veicolo del Male, sono feticismi osceni, almeno in questo caso. L’intenzione silenziosa, che motiva i due sfondi essenziali del romanzo, cioè Wallace Stevens e Celan, sta altrove e sono in moltissimi (al tempo stesso pocchissimi: rimangono perlopiù inascoltati, soprattutto in letteratura) a darne una formulazione che non è tale, bensì un giro attorno a questa intenzione silenziosa, un approcciarla per analogie, per speculum in aenigmate.
Uno di questi maestri è Jerzy Grotowsky. Con le sue affermazioni che seguono, io non ho più nulla da aggiungere al mio atteggiamento rispetto al nuovo libro: sono denudato, il che, esattamente, è ciò che cercavo. Di seguito alla sua fondamentale dichiarazione, riporto altre osservazioni di Grotowski, una delle quali è operativa, e per me quintessenziale. Intanto, ecco la prima e fondamentale espressione della poetica silenziosa a cui faccio riferimento.

“Esiste un io-io. Il secondo Io è quasi virtuale; non è, dentro di noi, lo sguardo degli altri, né il giudizio: è come uno sguardo immobile, presenza silenziosa, come il sole che illumina le cose – e basta. Il processo di ciascuno può compiersi solo nel contesto di questa immobile presenza. Io-Io: nell’esperienza la coppia non appare come separata, ma piena, unica. Nella via del Performer [nel mio caso, lo scrittore. gg], si percepisce l’essenza quando essa è in osmosi con il corpo [nel mio caso, la scrittura del libro. gg], poi si lavora il processo sviluppando l’Io-Io. Lo sguardo del Teacher [nel mio caso, la meditazione silenziosa sulla Cosa. gg] può a volte funzionare come lo specchio del legame Io-Io (questo legame non essendo ancora tracciato). Quando il collegamento Io-Io è tracciato, il Teacher può sparire e il Performer continuare verso il corpo dell’essenza”.

Vengo ora all’operatività. Che cosa faccio come scrittore? E’ ancora Grotowski a definirmi, ma solo per analogia e al di fuori – questo è importantissimo – da ogni ideologia ispirazionista o neoromantica. Ovviamente, qui il corpo è per me la scrittura del libro:

“Quando parlo dell’arte come veicolo, mi riferisco alla verticalità. Verticalità – il fenomeno è di ordine energetico: energie pesanti ma organiche (legate alle forze della vita, agli istinti, alla sensualità) e altre energie, più sottili. La questione della verticalità significa passare da un livello diciamo grossolano – in un certo senso si può dire tra virgolette “quotidiano” – a un livello energetico più sottile o addirittura verso la higher connection. Indico semplicemente il passaggio, la direzione. Là, c’é anche un altro passaggio: se ci si avvicina all’alta connessione – cioè, in termini di energia, se ci si avvicina all’energia molto più sottile – si pone ancora la questione di scendere riportando questo sottile qualcosa nella realtà più ordinaria, legata alla densità del corpo”.

Ecco altre dichiarazioni di Grotowski, che non sono essenziali (cioè prime da un punto di vista ontologico) come quella che precede, ma che riflettono il corollario e il contesto in cui mi pongo. Che si parli di teatro e non di letteratura, di regista e non di scrittore prima che scriva, di attore e non di scrittore che fa il libro, non importa: quello che segue, definito da un altro, è il cerchio empatico che esprime in toto la mia poetica silenziosa. Mi limito a sottolineare i passi imprescindibili che, per l’appunto, mi determinano qui e ora (una determinazione coincidente con un’apertura), nel passaggio a uno stato del mio mestiere che, dall’Anno luce in poi, è andato maturando:

Non è il teatro che è necessario, ma assolutamente qualcos’altro. Superare le frontiere tra me e te: arrivare ad incontrarti per non perderti più tra la folla, né tra le parole, né tra le dichiarazioni, né tra idee graziosamente precisate, rinunciare alla paura ed alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile “tutto intiero”. Non nascondermi più, essere quello che sono. Almeno qualche minuto, dieci minuti, venti minuti, un’ora. Trovare un luogo dove tale essere in comune sia possibile…”
“L’essenza del teatro è costituita da un incontro. L’individuo che compie un atto di auto-penetrazione, stabilisce in qualche modo un contatto con se stesso. […] Il teatro è anche un incontro fra gente creativa”
“La partitura dell’attore è composta di componenti di contatto umano; «dare e prendere». Prendere gli altri, stabilire un confronto con se stessi, con la propria esperienza e i propri pensieri, e dare una risposta
“Se il vostro ricordo è legato a un peccato vi sentirete, poi, liberati da esso. E’ in un certo senso una redenzione
“Che cos’è un’associazione, nel nostro mestiere? E’ qualcosa che scaturisce non solo dalla mente ma anche dal corpo. E’ il ricollegarsi a un ricordo preciso: non analizzatelo razionalmente, poichè i ricordi sono sempre reazioni fisiche. E’ la nostra pelle che non ha dimenticato, i nostri occhi che non hanno dimenticato. Ciò che abbiamo udito può ancora risuonare dentro di noi. Bisogna compiere un atto concreto, non un movimento come accarezzare in generale, ma, per esempio, accarezzare un gatto. Non un gatto astratto, ma un gatto che ho visto, con cui ho dei rapporti. Un gatto con un suo nome particolare – Napoleone, se volete. Ed è proprio questo particolare gatto che adesso sto accarezzando. Ecco cosa sono le associazioni d’idee”
Io mi sono preparato prima per diventare attore e poi per diventare regista
Non credo che il mio lavoro a teatro possa essere definito col nome di nuovo metodo. Si può chiamare metodo, ma è una parola molto limitata. Non ritengo neppure che si tratti di qualcosa di nuovo. Penso che questo genere di ricerca sia esistito più frequentemente all’esterno del teatro., benchè sia talvolta esistito anche in certi teatri. Si tratta del cammino della vita e della conoscenza. E’ molto antico. Si manifesta, viene formulato a seconda dell’epoca, del tempo, della società. Non sono sicuro che coloro che eseguivano le pitture della grotta Trois Frères volessero unicamente fare fronte allo sgomento. Forse … ma non solo. E penso che lì la pittura non fosse il fine. La pittura era la via. In questo senso mi sento assai più vicino a colui che dipinse quel disegno rupestre che agli artisti a cui sembra di creare l’avanguardia del nuovo teatro
“Vi è qualcosa di incomparabilmente intimo e fruttuoso nel lavoro che svolgo con l’attore che mi è affidato. Egli deve essere attento, confidente e libero, poiché il nostro lavoro consiste nell’esplorazione delle sue possibilità estreme. La sua evoluzione è seguita con attenzione, stupore e desiderio di collaborazione: la mia evoluzione è proiettata in lui, o meglio, è scoperta in lui, e la nostra comune evoluzione diventa rivelazione […]. Un attore nasce di nuovo – non solo come attore ma come uomo – e con lui io rinasco. E’ un modo goffo di esprimerlo ma quello che si ottiene è l’accettazione totale di un essere umano da parte di un altro“.

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