Dunque, dopo tanto tempo che non mi confrontavo con una telecamera, esercizio per me sempre angosciante, ierisera, grazie all’invito di Pietrangelo Buttafuoco, ho potuto dibattere (oltre che con lo scrittore Niffoi e la professoressa Landi) con Rocco Buttiglione. Il dibattito è risultato distonico a causa della mia incapacità di calcolare il divario di tempo a cui ero sottoposto e in audio e in video nello studio milanese da cui intervenivo. Tuttavia alcune cose sono riuscito a dirle, altre invece no e vorrei scriverle qui di seguito.
Va detto che il senatore Buttiglione (inconfondibilmente a sinistra: nell’immagine, intendo…), che non ho richiamato alla sua incredibile performance senatoriale sul gelato alla bouvette di Palazzo Madama, si è permesso di sottolineare che ho detto “sciocchezze” che lui aveva ascoltato, non tenendo presente che da lui – e non per un’ora, ma da vent’anni – io ascolto e vedo socialmente realizzate ben più che sciocchezze.
Però il discorso, che verteva sulla scuola e sull’episodio dell’insegnante sicula che aveva comminato a un alunno bulletto la punizione consistente nello scrivere cento volte sul suo diario “Io sono un deficiente”, ha dei riflessi e delle cause che esorbitano l’àmbito giornalistico e che a mio parere fanno del senatore Buttiglione l’emblema di più colpe politiche che hanno condotto allo svilimento dell’istituzione scolastica pubblica e alla marginalizzazione della figura dell’insegnante. Di ciò vorrei discutere.
Un po’ di storia sociale contemporanea, che non sono riuscito a dispiegare nella trasmissione di ierisera.
La tesi in studio: fino a un certo punto, la scuola regge, e poi crolla: colpa della società, colpa della famiglia, colpa della burocrazia imposta da riforme applicate ogni tre per due da ministri dell’Istruzione, colpa della pedagogia sinistrorsa e comunista e azionista (!) e del fatto che la scuola era un “serbatoio” di voti per il PCI. Il ’68 sarebbe stato un discrimine del lassismo e dell’abbattimento di un principio di autorità su cui si fonda la trasmissione dei saperi, innescando una decadenza dei costumi che ha condotto a una situazione insostenibile, tutta raggrumata nell’esemplificazione di casi giornalistici di bullismo scolastico e in visioni sconcertanti di quanto accade in classe messe in podcast su YouTube.
Questa lettura è sbagliata. Non dico: a mio parere è sbagliata. Dico: oggettivamente è sbagliata.
Per cinquant’anni abbiamo avuto ministri dell’Istruzione usciti dalle file della Democrazia Cristiana. A chi distingue il piano politico/ministeriale da quello della vita vissuta nella scuola, dove si annidava un’occupazione comunista, va risposto che lo SNALS, sindacato degli insegnanti di chiara ispirazione destrista, ha contato una rilevante percentuale di associati e, sommandolo agli aderenti a CISL e UIL, metteva in luce che la preponderanza dei professori aveva sì un orientamento politico, ma tutt’altro che “rosso”. Questo sia detto en passant, sul piano sociologico.
La faglia non va posta nel ’68, ma all’inizio degli anni Ottanta. E’ in quel decennio che l’Italia muta antropologicamente e lo fa attraverso quote di sviluppo e di ricchezza che sono strategicamente inoculate da chi ha pensato e favorito un boom finzionale, pagato a caro prezzo nel ventennio successivo e fatto di abbattimento della scala mobile, trasformazione dell’economia reale in deriva finanziaria, consumismo allargato agli strati deboli della società da opporsi alla partecipazione collettiva e all’elaborazione ideologica, invenzione e inveramento di categorie come “giovani” e “privato” attraverso una campagna mediatica che non ha precedenti nel Paese, start-up e fioritura di modelli sottoculturali veicolati dalla nascita (politicamente pensata e realizzata) di tv commerciali che non hanno pari in Europa per bassezza di livello. Il Paese termitaio, il Paese che non è più un Paese o è un Paese di merda nasce in quel decennio, germoglia e appassisce nel giro di quel decennio.
Tra le molte istituzioni che subiscono una simile ondata di trasformazione c’è la scuola. I ministri democristiani non fanno nulla per tutelare la centralità dell’insegnamento e della trasmissione dei saperi. Viene stemperato il contesto agonistico, edipico con cui tale trasmissione, implicando sempre una critica alla tradizione che si riceve, avviene del tutto naturalmente. La scuola perde completamente il suo valore di soglia iniziatica al mondo e alla vita, per slittare verso un addomesticamento ideologico (fatto salvo il movimento della Pantera, si passa alle occupazioni istituzionalizzate), che ha un effetto preciso: è impossibile che, da quel momento, la scuola sia un perno che faccia partire una variabile socialmente impazzita e, al limite, rivoluzionaria. Al pari della trasformazione della classe operaia, che è una classe sociale e non un’istituzione, viene operata sulla scuola un’operazione chirurgica che è strategicamente voluta – la scuola, come specchio della società, muta antropologicamente. La figura dell’insegnante perde di prestigio. All’inizio degli anni Novanta, il governo Amato chiude sine die i concorsi di assunzione – le cattedre sono congelate, non entrano nuove leve, più giovani e capaci di leggere con disinibizione quanto sta accadendo alla realtà. Si amplifica il divario tra insegnante e allievo, fino a condurlo a un protocollo di comunicazione tra un muto e un sordo. Con queste premesse realizzate, va a catafascio il nucleo fondante del sistema d’insegnamento nazionale: che è l’esperienza dello scontro col sapere (cioè il canale di assimilazione del sapere), ed è la ricerca e la formazione (il corpo insegnante non si sogna nemmeno l’esistenza di una retorica dei nuovi media e delle culture giovanili), ed è soprattutto l’Umanesimo, cioè il reale sapere che permane, perennemente discusso e rielaborato (ciò valga anche sul piano prettamente sociologico: impedire a una generazione di laureati in Lettere e Filosofia di accedere a una cattedra non sortisce altro effetto che creare una sacca di cognitariato precario, incerto, avvilito nei mezzi di sussistenza – il tutto mentre il salario degli insegnanti perde di valore, non è adeguato ai nuovi standard di consumo, compresi quelli basali, come l’affitto o il cibo).
La faglia degli anni Ottanta, che risente pesantemente di una strategia pentapartitica di riforma della società italiana in senso tecnocratico, si allarga nei Novanta. La DC, demolita, crea transfughi: c’è chi va a sinistra e c’è chi va a destra (dopo un numero incalcolabile di giravolte, il senatore Buttiglione va a destra). Nel frattempo, tuttavia, è accaduto qualcosa di particolare nel mondo della scuola. Don Giussani ha elaborato un’ulteriore strategia, che di fondo è mutuata da Gramsci: è l’appropriazione del prepolitico. Negli anni Ottanta, la scuola viene letteralmente invasa da CL, che si manifesta quale lobby in vitro, sottoponendosi alla meiosi ciclopica che condurrà questa che, come la Massoneria, è un’associazione, a occupare con propri esponenti ruoli politici di primo piano (il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, appartiene a CL; lo stesso Buttiglione, ministro dei Beni Culturali, appartiene a CL). Quella fase storica ha un centro irradiatore: è il liceo Berchet di Milano, dove Giussani insegna. Smette di insegnare l’anno in cui io mi iscrivo al liceo Berchet. CL ha liste politiche alle elezioni scolastiche, gli alunni sono fanatici del Meeting, praticano autocoscienze collettive detti “raggi” a cui assisto e in cui misuro il tasso di condizionamento mentale, mentre molti insegnanti di colpo appaiono essere ciellini. Si leggono soltanto Don Giussani e Dostoevskij (un mito per tutti i ciellini), si indossa in massa la spillina di Solidarnosc. Ora, nonostante quanto sostenuto dal senatore Buttiglione, la cultura e la tradizione, che sono trasmesse in una scuola come il classico, non sono cristiane e soprattutto non sono cattoliche. Nonostante gli sforzi dei miei insegnanti – tutti cattolici o ciellini – c’è poco da cattolicizzare Dostoevskij: hai da fare i conti con i Presocratici, Aristotele, Platone, l’intera stagione ermetica del Rinascimento italiano, il Settecento libertario e libertino, la storia ottocentesca che irradia una cultura fondamentalmente estranea al tappeto cognitivo a cui i cattolici vorrebbero appellarsi. Si richiamano soltanto Sant’Agostino e San Tommaso: punto. Perfino Dante è in odore di eresia e viene de-dantizzato. La tradizione e la cultura, in realtà, non sono anticristiane: se Ficino pratica l’esoterismo cristiano delle origini e i cattolici postconciliari non lo capiscono e non si pongono più questioni di metafisica bensì di politica, beh, c’è poco da fare. Infatti c’è poco da fare e quel poco è fumosissimo: Giussani conia un termine vaghissimo a cui si appigliano i suoi adepti – cioè “esperienza”. Siamo ai minimi. Però la dilagante folla riminese che si gode il Meeting, schitarrando e applaudendo Andreotti, è già un gruppo di pressione fondamentale, che ha un suo peso. Quale peso? Quello di alimentare un processo di revisione dei protocolli di insegnamento, al punto che, schierandosi col Centrodestra, porta avanti la battaglia per la parificazione delle scuole private, mirando esplicitamente a un declassamento della scuola pubblica. Si tenta cioè la costruzione di una scuola di élite ideologicamente controllata, il cui allievo ha un futuro garantito dall’enorme rete di CL, penetrata in consigli di amministrazione, nella sanità, nell’università stessa, nella magistratura e, ovviamente, in primis, nella politica. Questo ruolo estraneo al Parlamento, che pressa sul Parlamento facendo da serbatoio importante di voti per una componente politico-parlamentare è precisamente la funzione-lobby di stampo anglosassone e al momento costituisce una strategia vincente, e, in quanto tale, non esente da responsabilità. Le scuole pubbliche sono trasformate in aziende, i Provveditorati perdono d’importanza, monta il carico burocratico sulle spalle degli insegnanti, si confondono i sistemi di valutazione, i salari rimangono al palo, si mira a un vago utilitarismo (il sapere deve essere utile: direi che il Nemico è questo, qui si deve colpire…), si propone il modello delle “tre I”, si introduce una continuità tra scuola e azienda che ha l’effetto pratico di mandare i ragazzi allo sbaraglio non in stage bensì a coprire buchi con incarichi per nulla formativi. La distruzione e la marginalizzazione dell’istituzione scolastica è compiuta.
CL è, a mio parere, la variabile decisiva nell’organizzazione di questa demolizione preorganizzata. Il tutto secondo un sincero e inamovibile integralismo, per cui ierisera il senatore Buttiglione si permette di dire che Don Giussani è un “maestro che fa innamorare” e “l’insegnante è un dono di Dio”. Non esiste più la DC, che non disponeva di una strategia propedeutica perché la propedeutica poggia su saperi della storia universale umana che non sono cristiani o cattolici – CL, invece, questa strategia la propala e la realizza politicamente.
L’eliminazione forzata, la cancellatura proditoria di saperi e competenze (anche via formazione), come l’antropologia o la psicanalisi, azzerano il ruolo e lo scopo dell’insegnamento. Chi si trova a contatto con ragazzi, che possono arrivare a interessarsi effettivamente di Kafka ormai quasi soltanto attraverso le retoriche di Lost, non ha il tempo e l’energia per rinnovare il modello tradizionale di propedeutica, perché non ce la fa a stare dietro alla complessità delle culture giovanili. Le distorsioni sono abnormi, come si notava ierisera quando Buttiglione sdegnosamente citava Dewey, che dovrebbe studiarsi a fondo (si legga qui, per decenza e per non finire sul piano di chi Dewey lo disprezza, usando le sue intuizioni contro le sue intenzioni). Gli esami universitari si sostengono su un massimo di 150 pagine. I cattolici si alleano coi tecnocrati che, per il disdoro del senatore, sono ben più pericolosi degli azionisti: sia sufficiente controllare attraverso Google la battaglia condotta in Olanda sull’educazione (e martoriata dai cristiani al potere, oltreché osteggiata pesantemente dai vertici tecnocratici di Bruxelles) o l’allarme lanciato da Derrida prima di morire attraverso lo slogan “Lotta contro l’intelligenza”. E’ una deriva in cui si ripropone un’alleanza tutto sommato recente: il Vaticano (e derivati, CL su tutti) a fianco di chi vuole la tatcherizzazione dell’educazione. Non c’è più l’URSS da abbattere, non c’è più lo spettro del comunismo da eliminare: è l’Umanesimo il nemico. Poiché non soltanto la cultura è uno strumento di autonomia politica, e quindi è pericolosa per lo status quo, e ciò da quando esiste l’uomo (il potere ha sempre temuto l’eversione implicita della cultura); ma perfino i veicoli e i modi con cui la cultura si apprende e si insegna (sopra tutti: lo scontro agonistico con il sapere e con chi lo insegna) sono da dissolvere stalinianamente, poiché l’iniziazione alla vita che la scuola ha sempre costituito, con i suoi antagonismi che rimanevano nel recinto scolastico e non esorbitavano sui media ma semmai direttamente si rovesciavano senza mediazioni sulla società con il sogno di cambiarla, non permette di controllare le variabili. In particolare non permette di legittimare l’intellettuale libero, che è capace di mettere sotto scacco il potere, esibendone le contraddizioni, indicando la nudità del re (sia detto per inciso che l’alleanza cristiana con le correnti tecnocratiche che, in tutto il continente europeo, stanno mutando volto all’educazione per cancellarlo e bisturizzarlo secondo una plastica chirurgica preordinata, è un patto ambiguo, così come lo era quello con gli USA in tempi di Guerra Fredda: lo dimostra la battaglia sul riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa, che Bruxelles giustamente denega, poiché sono molto meno influenti non soltanto di quelle illuministiche, ma di quelle umanistiche in generale).
Si dovrebbero aprire altri fronti, di cui fondamentale è quello della famiglia. La famiglia italiana prescinde ampiamente dal microfenomeno mediatico del Family Day, che tanto entusiasmo ha suscitato nelle file cattoliche, spostando meno del 4% dell’elettorato a destra. La famiglia italiana è un luogo di malessere, come dimostra qualunque seria ricerca psicologica effettuata sul campo. Non è esente la famiglia cattolica-tipo, da questa deriva di disagio: denegata dalla cultura vaticana, la psicologia rientra dalla porta secondaria, invadendo con psicofarmacologia e psicoterapie il disastro naturale che ogni famiglia borghese porta in sé quale seme della propria giusta dissoluzione. L’incapacità, la fatica, l’imbarazzo di affrontare la crescita, di fronteggiare i modelli sottoculturali a cui sono sottoposti, sin dalla prima infanzia, i giovani italiani, sono il prodotto di una strategia che si ritorcerà presto contro chi ha pensato il disegno.
E’ soltanto questione di tempo. A nulla serviranno gli intellettuali organici al giussanismo, l’evasione dal metafisico al pallido intellettuale da parte del Papa, le nuove televisioni cattoliche con programmi suppostamente di qualità. E’ stato innescato il sisma che provoca l’onda anomala, lo tsunami si abbatterà, già si sta abbattendo sulla battigia, dove spensierati o combattivi e coriacei prendono il sole anche gli affiliati alla medesima associazione di cui è adepto il senatore Buttiglione.
L’unica barriera contro lo tsunami è la rilocalizzazione al centro dell’esistenza di un’istituzione che irradi la libertà di confrontarsi con l’Umanesimo, denegandolo o affermandolo o variandone l’evoluzione. E’ questa la battaglia che bisogna compiere, è questo ripristino mobile e incontrollabile che viene temuto da chi affossa la società in un pantano sottoculturale, inumano, che parla di un Dio che non lo è, svuotato di tutto tranne che dell’emotivo – un unicum nella storia delle metafisiche, e non secondo il primato di verità che a questo unicum assegnano i cattolici.