[Uscito nel 1989 per la prestigiosa casa editrice Suhrkamp, Ins Freie è una prova poetica di assoluto valore, salutata in Germania da un successo critico che fa sperare, per il futuro, in un ritorno di Janaczek a variazioni celaniane folgoranti, come queste che qui proponiamo in traduzione. gg]
Via in libertà, dove, l’aria è
qui tanto densa che
un ramo si piega in sé, solo lei colpita
e io già nascosto:
un impermeabile sull’altro:
per lei aspetto l’accesso
la pioggia
che si avvicina.
*
Tu giaci e anche gli alberi
sono sempre più vuoti
e più vicina in cielo la corteccia,
che si muove avanti e indietro nella nebbia.
Infine sei calmo,
esperta la pelle.
*
Buon viaggio, così mi abbandono
e mi ritraggo alle tue mani. Torniamo,
anche a noi, con gli occhi
che ci allontanano dalle ombre,
una casa muore certamente nella successiva, dove
la toccano in questo andare.
*
Sono rimasto qui
tra gli altri, seduto
e dopo, solo, dove va,
cammina con noi, poiché in alto
si contrae
e sopra tutti è: tuttavia
esso si forma,
dalle nubi e l’acqua, si chiude,
esclude loro ciò che
si dirige verso noi,
lo disperde in cielo.
*
Mi potrei scrivere
con te negli occhi
con vene cieche
su un foglio.
*
Le tue parole stentate
le laceravano la bocca,
tu dici che le nubi,
un tempo avevano avuto pareti.
La lingua giaceva spezzava
e chiamava una pioggia,
era nubifragio, rottura,
perché poi la pioggia andava,
cadeva fuori, o si dice, cadeva,
solo a ritroso non andava mai.
E di nuovo tutto roteava in me,
eri tu, sei tu,
le braccia, le gambe che ho
tenuto in grembo, là collegati,
quanto tempo?
E adesso vorrei gridare
solo dolore
e vivissimo,
non so, dico,
non so piangere.
Guarda in alto e il cielo
è vuoto ed è blu
e quasi secco.
*
L’inverno abbatte
la luce,
e noi con essa.
*
Giravano. Là, lungo la strada
erano edifici. Anche i frontoni
uscivano, ci venivano incontro.
Un tetto a cupola, immagìnati,
si curvava sulla serra,
di sotto gli alberi, legati,
si arrampicavano sul vetro.
Hanno le campane.
Lo scampanio da lontano non ti apparteneva,
là, dall’altra parte, là non eravamo mai,
perché dicevi di sentire
i rami attraverso i vetri, per entrambi
questo è troppo lontano, vieni,
incamminiamoci nuovamente lungo i fiori
che vedono da lontano, come me.
Solo l’iride si placava
miope, quasi cieca.
*
Angolo di luce qui dentro,
con la finestra chiusa rimane dall’altra parte,
nel vetro dove fa spigolo, subito termina.
Se puoi aiutare, io ne sono impigliata,
diviene oro,
ma non va via di sera, da sopra,
con l’altra.
*
Nella serra, in inverno,
dove sei in inverno,
accanto al fiore, inclinato.
Ombre, Ombre.
[Helena Janeczek, Ins Freie , Suhrkamp 1989 – Traduzione di L. Arezzo]