In un libro come Le teste, nicodemico thriller in uscita per Mondadori Strade Blu in quel del settembre prossimo venturo, e che tratta in effetti di tagli di teste, era impossibile che non si tagliasse un capitolo. Il che, precisamente, è avvenuto. Tale capitolo risultava un hàpax legòmenon eccessivo e andava espunto: espulso, a essere metodici – e lo siamo.
Questo capitolo, che, isolato, non può che avere a titolo “Evacuazione!”, concerne per l’appunto l’evacuazione di Guido Lopez, il personaggio protagonista della narrazione. Seguiva, questo capitolo ora tagliato, nella stesura originale, un momento in cui suddetto protagonista (che allo stesso tempo, e come sempre, è deuteragonista: ma non di un personaggio, bensì di “altro”) correva l’altissimo rischio dell’estinzione fisica, gravissima minaccia portatagli addirittura dentro alla risaputa tana da cui dirige le sue operazioni: la Questura milanese. La quale è quindi da evacuare. E anche qui, in effetti e in altro senso, della medesima materia si tratta, con ben altra soluzione.
Una specificazione. La lettera che il personaggio Guido lopez legge dalla rivista Cronaca Vera è reale, sebbene mai pubblicata sul popolare magazine, bensì nella consigliabile raccolta CARA CRONICA -170 lettere per svelare l’Italia dimenticata, edito da Aliberti per le cure di Edoardo Montolli.
Segue, dunque, il capitolo in quistione, immolato al metodo romanzesco:
Evacuazione.
Immediata, improvvisa: necessaria.
Il pericolo è altissimo e dalle fondamenta proprie e interiori l’ispettore Guido Lopez avverte il tremore dell’imminenza, dell’assenza di protezione.
Egli è esposto all’aggressione.
Deve cercare i Servizi e non vorrebbe. La pulsione lo esige. Protezione: cerca questo.
Il quarto piano della Questura, sede della Squadra Investigativa, cui da molti anni e con interruzione appartiene anima e corpo, esige l’evacuazione immediata: anima e corpo.
L’altissimo rischio pressa Lopez, abbandonare lo stazzonato trench, il piano è deserto, la fuga tumultuosa.
La perentorietà delle esigenze. L’ambiente è ostile: sempre.
Evacuare, quindi: e velocissimamente.
Il segnale giunto implica operazioni a tutela della sicurezza e del resto tutto il piano è evacuato, è solo, Lopez, abbandonato a sé.
Dove sono i Servizi?
A che giova una simile occorrenza?
La salvezza è a pochi metri, l’occasione stessa della medesima, purché sia Lopez il determinato che pianifica nell’istante medesimo in cui esegue.
E’ come un trillo, un sisma, illimitata sensazione di precariato di sé.
Evacuare, evacuare subito.
I Servizi appaiono di colpo la speranza ultima: un autentico rovesciamento, insperato. Attore e regista emettono il gesto, unificatorio, zen allo stato parossistico, la mente unificata, il corpo anche alla mente, un unico sforzo proteso alla salvezza: di sé, e degli altri.
L’etica di Lopez è fisiatrica, glandolare.
L’ipofisi emette allarmi.
E’ una peristalsi in tutte le cose, a rischio è l’esistenza stessa, nemmeno si sfiora il pensiero della frustrazione o dell’imbarazzo, che alle operazioni di routine sanno presentarsi quali spauracchi: imbelli fantasmi, tabù violandi, indirizzi del medesimo indirizzo di sempre il quale è: azione. No, qui ne andrebbe della sopravvivenza stessa e, in quanto è così, l’azione è impensata, letteralmente: non pensata.
L’occupazione dei Servizi… Sempre disponibili, tranne quando se ne ha effettiva la necessità…
Deve lasciare tutto, Lopez, deve abbandonare: veloce! L’abbondanza ha creato il pericolo.
I metabolismi del rischio li conosce fino all’ultimo orpello, la cesellatura dei pericoli che è andata completando la sua testa mandibolare, il suo inesausto ruminìo, l’elezione di sé a personaggio chiave del teatro di sé, qual è infatti ciascheduno – non che Guido Lopez appaia diverso infatti da un umano qualunque, lo si direbbe anzi un poco più vuoto di ognuno degli “io” canterini, invece è al momento un poco più pieno di essi.
Evacuazione immantinente.
Il sudore, la disperazione, la corsa alla salvezza…
Finché raggiunge, Lopez, la pace, l’isolamento, la protezione dal rischio: ecco: ecco il rilascio, il rilassamento nello spazio angusto e statale della toilette, il calcare opacizza il lavabo, la asse del water è crepata e induce la sensazione della schifezza: poiché questo è l’interiore dell’umano: l’interiora, e dunque la schifezza.
Defecazione del personaggio Guido Lopez.
E poiché la testa rotea senza pausa alcuna, proprio non vuole ristare ferma in inattività, ecco il personaggio in cerca di storie e avventure di altri personaggi, gli “io” canterini e le loro evoluzioni, microbiotiche, imbibite di spudoratezza: si distrae, quindi, l’ispettore.
Afferra la rivista e la sfoglia, era posata sulla mensola ad altezza media, si è dovuto distaccare con i glutei da quell’asse, sollevarsi un poco, fino ad averla in mano, la soluzione: non del caso delle teste, ma della noia ovvia compagna di ogni avvenimento, del caso stesso.
La rivista è popolare, la più diffusa pubblicazione italiana all’estero, e molto consultata in negozi di parruccheria ormai periferici, certamente non nelle catene firmate, dove la coifferie genera un precariato altrettanto indecente del su descritto. Ove regnano altre riviste, altri cinguettii degli “io” canterini. In somma dei conti, tuttavia: una peggiore qualità, sebbene più colorata, della rivista che tra le mani stringe Lopez.
Queste riviste che rotulano fatti secondarissimi addivenuti a stato di primizia, di primazìa, di mela edenica da mordere la prima volta tutti assieme e senza l’ammanco della colpa, tutta questa verità privata, privata di verità, una denuncia compiaciuta continuativa, che incanta ed esalta il Paese tutto, lo compiace e lo cesella, a sua immagine e simiglianza: l’era del pettegolezzo di massa. Inaugurata da casi alla Lopez: la povera Montesi, Fenaroli al posto dei Guelfi e il Ghiani dei Ghibellini, giù giù fino Erika e Omar, ogni fatto dissezionato ad arte di Lopez, molto meglio anzi, un’autopsia poliziesca condotta da un occhio scorbutico e scherzoso, comunque ubiquo, quasi sempre sul luogo, non del delitto ma della derelizione: è questa, dunque, la distrazione.
Il magazine ha per testata: CRONACA VERA, e non avidamente lo sfoglia Lopez, in quanto che egli proprio non è vittima di fole da popolino, ha un certo ruolo lui!, è un personaggio di certo tipo, e quindi è con sufficienza che, terminata l’evacuazione e aggirato il pericolo, gira pagina per pagina, sorridendo snob ai caratteri precontemporanei della rivista stessa, i suoi font immarcescibili nella storia pluridecennale di questa pubblicazione e legge una epistola al direttore della stessa, chiamato dal lettore “professore”, e si incanta: si parla di un criminale! E’ tutto un crimine, ma si incanta: non uscirà mai dal gioco assurdo, dal servaggio, dalla desertificazione interiore che il crimine esercita su di lui. Il crimine, di fatto, paga: lui, almeno, ne trae una paga.2 agosto 2006
Caro professore, le scrivo perché mi sento minacciato da un occulto criminale, io sono separato da mia moglie e adesso i fratelli della mia ex moglie sono della criminalità (malavita) adesso mi hanno minacciato dipicchiarmi e di farmi cioè mi hanno fatto un maleficio criminale, di farmi stare ammalato e mi hanno detto che mi fanno venire malattie e adesso ho strani disturbi, sento tremare lo stomaco e rigetto il mangiare. Poi sento tremore e malessere alla testa coi brividi fino alla nuca, vado spesso a urinare e mi escono gocce di urina. Ho l’organismo bloccato, mi sento stanco e poi per tutto il corpo si diffondono sintomi di stanchezza e sintomi di sentirmi ammalato. Poi sudo tanto, caro professore. Adesso mi hanno minacciato di farmi perdere il lavoro e di farmi innamorare di donne sposate che non vanno bene per me. Mi hanno colpito pure al sistema endocrino e sento febbre addosso, poi hanno minacciato mia sorella con occulto criminale che ad agosto sposerà l’uomo sbagliato. Io poi sono ingrassato molto e non dimagrisco. Il maleficio è stato fatto in luglio con un sole alla menta.
Fabio B.E Lopez allora chiuse, lo sciacquìo, ritornare all’impermeabile stazzonato, il piano senza nessuno, i colleghi assenti per il Natale, cosa è stato questo Paese alla fine della umanità, la sua sintassi progressivamente rinnovata in una forma sempreguale di lingua assai consunta, oltre la morte della lingua è qualcosa di indefinito e non perfettamente statico, una dispercezione, l’evacuazione delle realtà: a luglio, sole alla menta – trasognando ritornare alla scrivania, fuori il palazzo investito da venti come raffiche di mitra, incontrastato sulle piazze vuote e contro i campanili.
L’inverno con la sua generazione.