• Il Corriere della Sera su Le teste [pdf]
Incontri – L’autocritica dell’autore mentre arriva in libreria il thriller «Le teste», quasi un congedo
«Caro ispettore Lopez, ti odio»
Genna è stanco del suo eroe: non conclude niente, non ha profondità
di RANIERI POLESE
[dal Corriere della Sera, 21.9.2009]
In un dicembre freddo shocking con tanta neve grigia in città, sotto il ghiaccio che sigilla l’Idroscalo di Milano viene trovato il corpo di un pensionato. Accanto al cadavere, i sommozzatori raccolgono un sacco di plastica: dentro c’è la testa decapitata di una ragazza bionda. Parte così Le teste (Mondadori), la nuova (ultima?) indagine dell’ispettore Guido Lopez (in libreria da domani), poliziotto in servizio effettivo dal 1999 quando apparve nel primo romanzo di Giuseppe Genna, Catrame , e da lì ha proseguito per altri quattro titoli. «Lo odio — dice Genna —. E non è solo l’insofferenza per il personaggio, quella che alla fine provava Simenon per Maigret. Odio Lopez, il suo non saper mai concludere niente. È una figura senza profondità, non telefona mai alla mamma, non ha una fidanzata. Non si sa com’è fatto, non viene mai descritto. Serve al meccanismo seriale del thriller, che io però voglio mettere in crisi. Da noi non c’è uno scrittore come Ellroy, non ci sono fiction tv come ’24’ o ‘Lost’, c’è Don Matteo».
Strana, ma nemmen troppo, questa dichiarazione di odio per il personaggio che lui stesso, Genna, ha creato. Infatti, romanzi come Nel nome di Ishmael o Non toccare la pelle del drago non sono e non debbono essere considerati thriller convenzionali (detective in caccia del killer), c’entra sempre la storia più grande, dalla morte di Enrico Mattei alle stragi più recenti. Il ruolo principale, così, finisce per essere quello dei Servizi, delle «strutture parallele», di trame e intrecci dal forte sapore di complotto. Anche ne Le teste , via via che le ricerche sull’identità della donna procedono, mentre dal passato emergono altri casi di vittime decollate, ci si accorge che dietro traspare un altro disegno molto più inquietante, con addirittura un riferimento al filmato diffuso su Internet della decapitazione di Nick Berg, per mano di al-Zarqawi, nel maggio 2004.
«La testa trovata nell’acqua appartiene ai miei ricordi di bambino — racconta Genna —. Avevo 11 anni, i genitori avevano portato me e mia sorella al mare, a Lido Adriano, vicino a Ravenna. Siamo sulla spiaggia, due ragazzi tedeschi stanno uscendo dall’acqua con un sacchetto di plastica trovato sotto le rocce di un moletto. Lo aprono e ne esce una testa di donna. Per anni, tutte le notti ho avuto l’incubo di vedere uscire quella testa dall’acqua del water». E anche il libro riporta quell’episodio, un antico delitto, vittima una prostituta, in cui potrebbe essere implicato proprio il pensionato trovato morto all’Idroscalo. «Per questo romanzo ho usato degli intermezzi, in corsivo. La tradizione del thriller Usa più dozzinale propone sempre questo stratagemma, dando spazio alla voce del folle, del serial killer, che è ovviamente più avanti dell’investigatore. Ma qui, in Le teste, di chi è quella voce? Dell’assassino, o dello stesso autore che continua a girare intorno a quell’antico orrore?».
La città che fa da scenario e coprotagonista in questo freddo delirio, Milano, è una città a degrado avanzato, che continua a voler credere alle sue leggende (Genna dedica una pagina al mito della Milano anni ’50, i poeti e gli artisti del Giamaica) e non vuole percepire la reale situazione di un agglomerato urbano che non funziona più («quando ci fu la grande nevicata, per avere i sacchetti di sale ci si dovette rivolgere a Torino»), dove le aiuole e i parchi sono ridotti a sterpaglia. «Ma anche la mente dei suoi abitanti è un groviglio di sterpi: negli ultimi tre anni il consumo degli psicofarmaci è più che raddoppiato». Milano come avanguardia dell’Italia. «Di un Paese che dalla caduta del Muro ha perso ogni interesse strategico, è scivolato nella periferia di un impero che non ne vuol più sapere, guarda altrove. Ma politici e governanti fanno come se tutto ancora si tenesse insieme».
E i servizi deviati, le strutture parallele? C’è un complotto, così come ce ne sono stati tanti nella nostra storia recente? «Il complotto si iscriveva in un protocollo paranoico che è andato in pezzi. Pensare che dietro quanto accadeva c’era un Grande Vecchio, un Potere occulto, questo serviva per dare coerenza al racconto. E serviva anche a ciascuno di noi, per raccontarci una plausibile spiegazione. Questo paradigma oggi non vale più. Siamo passati a quello che si chiama stress post-traumatico, l’emergenza psichica numero uno dei nostri tempi. Si percepiscono frammenti, pezzi di un’esperienza traumatica, che però non riusciamo più a cogliere nella sua interezza. Così non siamo più in grado di elaborare il lutto, restiamo sospesi in un limbo che somiglia all’inferno. E forse lo è».
In guerra con il suo personaggio (ma quando ha visto che nella nuova «Squadra» televisiva c’è un ispettore Lopez, un po’ si è seccato), in scadenza di contratto («Questo è il mio ultimo libro Mondadori »), Genna torna a lavorare sul suo work in progress, Assalto a un tempo devastato e vile , magma in espansione di saggistica e narrativa, analisi e delirio, epopea crudele delle periferie che un tempo stavano ai margini delle città, e che oggi ormai le hanno conquistate. Questo zibaldone di fatti e pensieri, dopo essere uscito da Pequod e poi da Mondadori, vedrà una terza edizione aumentata da Minimum Fax, primavera 2010. Intanto, dal suo monumentale Hitler è stata tratta un’opera musicata da Filippo Del Corno, che ha debuttato nel Festival MiTo. E di Lopez, del suo ispettore ripetitivo, vuoto, seriale, bisognerà cominciare a fare a meno? «Chi sa, senza anticipare niente su come finisce il romanzo, sto già pensando a una ripresa. Paradossale, all’altezza del tempo devastato e vile che ci è dato vivere».