IO HITLER: la recensione del Giorno

La scheda dello spettacolo IO HITLER
Il trailer di IO HITLER
MITOblog: l’intervista di Filippo Del Corno su IO HITLER
Il Corriere della Sera su IO HITLER
Estratto dal libretto di IO HITLER
Audiointervista al regista di IO HITLER
Il Corriere della Sera – Milano su IO HITLER
Repubblica – Milano su IO HITLER
Luca Giudici sulla “prima” di IO HITLER
Il Giorno sulla “prima” di IO HITLER

LA RECENSIONE – AL PARENTI PER MITO LO SPETTACOLO TRATTO DAL ROMANZO DI GENNA
Hitler in musica, un magnifico orrore
di ELVIO GIUDICI
[da Il Giorno]

Fulvio Pepe interpreta il Fuhrer in IO HITLERMILANO — Giuseppe Genna scrive un romanzo magnifico, «Hitler». Non una biografia, ma piuttosto una serie di flash che illuminano le tappe dell’ascesa non d’un superuomo genio del male, bensì d’un poveraccio senza arte né parte: totale nullità, che sa di esserlo ma finge il contrario, credendoci come solo fanno i più deboli pusillanimi. Ventuno di questi flash, riscritti dallo stesso Genna, divengono stazioni d’un monologo intitolato «Io Hitler» che il festival MiTo ha presentato in prima esecuzione al teatro Parenti.
Il linguaggio è grosso modo quello del melologo, ovvero voce recitante con accompagnamento e/o commento musicale, scritto da Filippo Del Corno e magnificamente eseguito dall’ensemble Sentieri Selvaggi diretto da Carlo Boccadoro: mentre sulla scena d’efficace essenzialità, creata dallo scultore-scenografo Giovanni De Francesco, passano su di uno schermo immagini che non tanto descrivono quanto ampliano lo spettro emotivo costruito da parola e musica, ulteriore tappa d’un percorso che definisce la personalità sempre originalissima di Francesco Frongia, che tira registicamente le fila dello spettacolo.
Il melologo è categoria musicale affascinante, nella duttilità del suo respiro teatrale: qui, poi, la memoria collettiva dello spettatore agisce da potentissimo volano tragico capace di sostenere anche quegli episodi che restano solo musica d’accompagnamento, nei quali strumenti e voce quasi lottano per sopraffarsi anziché integrarsi compiutamente. A fronte, ne spiccano altri (i discorsi pubblici di Hitler, ad esempio, che avrei però preferito fossero affidati o almeno inframmezzati dal tedesco gracchiato dallo stesso ometto Adolf) dove la parola diviene invece strumento solista d’un rapsodico discorso di notevole efficacia. Teatrale, soprattutto: sicché decisiva risulta l’organizzazione dello spettacolo.
Fulvio Pepe è molto bravo nonostante una voce di non immediato carisma timbrico: certi suoi atteggiamenti da coniglio rannicchiato, certi repentini bagliori metallici introdotti in un eloquio difficoltoso, come di chi cerchi – e non trovi – un filo logico entro la palude del pensiero, s’imprimono nella memoria. Efficacissimi certi effetti da «oltre lo specchio» creati da Frongia: come quando entro alcune stupende immagini dei Nibelunghi di Fritz Lang (e la musica cita allora Wagner) pone la figuretta patetica di un omuncolo che uno degli enigmi più tragici della Storia ha fatto sì potesse confrontarsi con simili personalità, ponendo accanto alle loro opere il delirio sgrammaticato di «Mein Kampf», la cui dettatura in carcere è la scena forse più agghiacciante, con i primissimi piani dei tasti d’una comune macchina per scrivere che pian piano assumono la valenza tragica dei magli d’un imperscrutabile destino.

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