Su ‘l’Unità’ circa il film di Manuli: Kaspar Hauser è ancora sepolto

 

Kaspar Hauser è ancora sepolto
Quello di Manuli è un film che l’Italia ancora non vuole
In Rete è già culto, e all’estro ha conquistato pubblico e critica. La storia è ambientata in Sardegna e il protagonista ha il volto di Vincent Gallo
di GIUSEPPE GENNA | l’Unità, 30 maggio 2012

La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli si apre con una sigla e una scena sconcertanti, in un bianco e nero quasi tridimensionale. La sigla: Vincent Gallo, ripreso di spalle, in un deserto chiama con una danza rituale l’arrivo di una flotta di dischi volanti alieni abnormi, che riempiono il cielo sovrastante. La scena di apertura: in un paesino sardo, in un vicolo non asfaltato, compare proprio Vincent Gallo, a cavallo di una moto da enduro e abbigliato da sceriffo con il cappellaccio e il crine lungo e biondo e gli occhiali da poliziotto americano. Avanza a passo d’uomo facendo rombare l’enduro e urlando a chiunque di scostarsi. Urla e non c’è nessuno. Due minuti dopo, invece, qualcuno c’è. E’ lo stesso Vincent Gallo, vestito con una tuta da motociclista bianca, il volto nascosto da un casco: interpreta il pusher che fornisce stupefacenti in questo regno privo di sovrano. Il duello (a poca distanza dalle location con cui Sergio Leone fece la storia del cinema western) è un confonto tra pusher e sceriffo, due personaggi interpretati dal medesimo attore. Il duello consiste in una danza incrociata, sotto il ritmo di una musica tecno, creazione del divo Vitalic, che ha fornito la colonna sonora al film.
La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli (già pluripremiato all’estero con il precedente Beket) ha sbancato all’estero, anzitutto al Festival di Rotterdam dove è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Spectrum. Un successo di critica e pubblico ha registrato poi anche a rassegne prestigiose, da Copenaghen a Istanbul. In Italia non si sa se lo si vedrà. In Rete è già culto, su Facebook e Twitter soprattutto.
Chi ha in mente il Kaspar Hauser di Herzog lo dimentichi all’istante. Qui siamo in un regno che spacca la dimensione storica, in una Sardegna puramente geologica. Siamo in un cinema trascendentale, per ricorrere al celebre saggio di Paul Schrader. Un teatro disumano, che sta tra Bene e Grotowski e Murnau, si disegna sotto i nostri occhi – dico dei pochi fortunati italiani che hanno potuto godere della visione e dell’ascolto di questo che non esito a definire il cinema italiano di questo decennio. La lucidità bianca e nera e grigia ed eterea della pellicola usata da Manuli impressiona. La colonna sonora di Vitalic, che satura le immagini e distrugge i dialoghi, esalta in realtà le interpretazioni di Gallo e di Gifuni (un prete cowboy che ciancia davanti a Kaspar Hauser dell’esistenza di un messia). Silvia Calderoni dei Motus, adrenalinica e autistica, è l’androgino Kaspar Hauser, il ragazzo venuto da fuori della civiltà e su cui essa tenta un’opera innaturale di corruzione e di espulsione dal corpo sociale, attraverso il bando dell’esclusione definitiva – la morte stessa. Una vicenda che si snoda per capitoli molto lineari, sottolineati con titoli da film muto: l’arrivo di Kaspar Hauser, l’educazione di Kaspar Hauser, la sua uccisione…
Chi scrive è in una posizione di oggettività partecipativa, poiché è autore di un frammento della sceneggiatura. Ciò non toglie che il giudizio sia spassionato: l’opera di Manuli vive di una tensione metafisica che ricorda da vicino l’ascesi artistica di Carmelo Bene o di Eugenio Barba o di Andrej Tarkovskij. Siamo di fronte, insomma, a un regista dal talento non comune, che ci espone a una scelta radicale: dimenticare il film ed esperire il cinema. Cioè farci invadere dal bombardamento di immagini sonore, un flusso che scuote il corpo e desta un’attenzione consapevole come poteva accadere in certo Bresson (per esempio ne L’argent) o in Ozu o in certo Godard (si pensi ad Alphaville). E’ avvertibile un’attivazione che sollecita tutti i sensi e sbalza oltre i sensi stessi. Tutto diventa inquietantemente memorabile. A questo effetto sono congeniali per esempio i comici tic dello sceriffo Vincent Gallo (“Oh, yeah!” ripetuto ossessivamente). Ogni situazione crea un trauma, uno strappo nella coscienza. Come l’arrivo sulle onde marine del corpo esanime di Kaspar Hauser, flessuoso come un’alga luminosa.  Accade come in Eyes Wide Shut: il film è un ultracorpo che entra in noi e in noi vive. Si danno trauma e reazione al trauma, attraverso l’esposizione a un’opera radioattiva, come accade stando davanti a Rothko, leggendo DeLillo, rivedendo muoversi Pina Bausch. Occhio e mente di Davide Manuli sono al servizio di quest’opera: fare penetrare in noi quei fantasmi che il cinema ha permesso di vedere per un attimo durato un secolo, angeli necessari che, scriveva Wallace Stevens, sono “una figura a metà, intravista un istante, un’invenzione della mente, un’apparizione tanto lieve all’apparenza che basta che volga le spalle, ed ecco che presto, troppo presto, è scomparsa”.
Qualcuno di antico ha descritto in anticipo quest’opera d’arte che è La leggenda di Kaspar Hauser: “Ecco l’equivalente del suono così come io come lo intendo. L’attore non esiste più, il sé manca, siamo nell’abbandono, nella morte della significazione. L’interiorità ha eliminato la comunicazione. Tra l’attore e lo spettatore non si comunica più. L’interiorità dell’attore si precipita nell’interiorità dello spettatore. A questo stadio, la rappresentazione, le parole come volontà, Dio, la grammatica, l’anima, lo spirito, non esistono più. Sono il mai-detto, il non-detto, che parlano all’interiorità. Siamo nella sensazione. E infine è il corpo che scompare”. Questa precisa descrizione dell’opera di Manuli è stata enunciata da Carmelo Bene, in un’intervista a Thierry Lounas, sui Cahiers du Cinéma, nel 1998, l’anno in cui usciva il primo film di Davide Manuli, Girotondo, giro intorno al mondo. Era un passaggio di staffetta, nemmeno ideale. Buona non-visione a tutti.

NB (La leggenda di Kaspar Hauser non si sa sarà proiettata o celebrata decentemente in Italia. Da intellettuale integrale e in rappresentanza dei molti che sono incuriositi dal film, ringrazio l’establishment del cinema italiano: una folla lugubre che continua a celebrare una danza macabra sulla tolda del Titanic Italia. gg)

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