Audiointervista su “La Stampa”: Calvairate

Si chiama Voci di Milano l’iniziativa di Magzine de La Stampa ed è il luogo multimediale in cui precipitano e si depositano miei ricordi e aneddoti sulla contea devastata e vile in cui sono nato e cresciuto, spesso acclusa nei miei libri: il quartiere di Calvairate, alla periferia sud-est di Milano. Riproduco l’articolo di Sacha Biazzo, linkando il video e l’audiointervista che mi ha fatto Giuseppe Scannamonaca.

Giuseppe Genna racconta Calvairate

VIDEO: Giuseppe Genna racconta Calvairate

Lo scrittore e il suo quartiere: quando il robivecchi era una leggenda popolare e Gio Ponti disegnava transatlantici

di SACHA BIAZZO (MAGZINE)

Nella periferia Est di Milano, a poca distanza dall’ortomercato e dal macello comunale, sorge Calvairate, il quartiere dove lo scrittore Giuseppe Genna è cresciuto e da dove hanno preso vita alcune delle storie più interessanti dei suoi romanzi, come Assalto ad un tempo devastato e vile (Mondadori, 2002) o Dies Irae (Rizzoli, 2006).

«Calvairate è il filo rosso della mia scrittura, ne ho parlato ovunque. È un po’ come la contea di Yoknapatawpha di Faulkner, l’ho utilizzato come omphalos, come ombelico mitologico e mitografico per ambientare le avventure dei miei personaggi». Anche solo architettonicamente, il quartiere offre degli scenari molto interessanti. «Di fronte alla casa popolare dove abitavo come inquilino abusivo, c’è una casa popolare a forma vaga di transatlantico che è opera dell’architetto Gio Ponti e che veniva ribattezzata stalag perché le luci dei supposti oblò, nella metafora architettonica di Gio Ponti, creavano l’effetto di un campo di concentramento o di un enorme condominio da realismo socialista. E anche lì si consumavano storie, vendette, giochi di mafia più o meno accettata nella strategia del contenimento della criminalità nella Milano di quegli anni».

Quei luoghi erano il crocevia di autentiche leggende viventi, un serbatoio di storie inesauribile al quale poter attingere per tessere narrazioni. «Negli anni Sessanta in piazza Insubria, una delle piazze cui fa perno il quartiere, era possibile incontrare un robivecchi che, in una casupola di lastre d’alluminio, si alimentava di radici, terra e topi selvatici. Questo signore, una volta, colpito dalla morte di Patrick Lumumba, andò fuori di testa e in via Ciceri Visconti incominciò a urlare il nome del rivoluzionario africano. Convinto di riuscire a farlo, cercò di volare. Penetrò in un palazzo, si recò sul tetto, aprì l’ombrello e come Mary Poppins cercò di scendere sul selciato. In effetti, scese sul selciato, ma ad una velocità differente da quella che si aspettava. Schiantandosi, ma non morendo. Così, dopo mesi di ricovero in ospedale, dove gli rimisero a posto gli organi e le fratture con una zoppia impressionante, tornò a nutrirsi di pantegane, visto che lì vicino scorreva un rivolo di naviglio».

Calvairate, però, negli ultimi anni è cambiato radicalmente, insieme al resto della città: «Sono scomparse le leggende di zona. Quella è stata l’ultima stagione, tra le tante, dell’esperienza della persistenza della generazione e del passaggio di testimone storico. Oggi non vedo più a Milano la capacità di produrre affabulazioni come in passato. Ma questa è una mia percezione personale».

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